Menu

Erdogan: una truffa le ‘aperture’ su curdi e democrazia

Sono bastate le “moine” di Erdogan sulle aperture democratiche per permettere alla stampa italiana di risantificare oggi il premier turco, caduto temporaneamente in disgrazia nei mesi scorsi dopo aver scatenato una repressione brutale contro i movimenti popolari e le opposizioni costata la vita ad almeno 6 manifestanti. Dimenticati i morti, i feriti, gli arrestati, gli agenti chimici mischiati all’acqua sparata dagli idranti della polizia, i lacrimogeni assassini, i pestaggi di giornalisti e parlamentari, molti media oggi parlano di “grande balzo in avanti della democrazia” in Turchia o di “risposta da parte del premier alle richieste di cambiamento provenienti da Gezi Park”. Inventandosi, come fa La Repubblica, che la soglia di sbarramento per entrare nel parlamento di Ankara è stata abbassata dal 10 al 5%…

Ovviamente il ‘sultano’ ha giocato bene le sue carte, e ieri durante una lunga e attesa conferenza stampa ha annunciato un consistente numero di cambiamenti in campo legislativo su alcune questioni chiave da tempo al centro di un braccio di ferro con le opposizioni, con alcuni movimenti popolari, con le minoranze curda e alevita, con gli intellettuali progressisti ecc.

Ma a ben guardare si tratta spesso solo di cambiamenti minimi o addirittura di facciata, che non intaccano un modello di gestione autoritaria dello stato e della società che il partito liberal-islamista ha ereditato dal regime laicista dei governi precedenti.

Cominciamo proprio dall’abbaglio di Repubblica. In Turchia vige una delle leggi elettorali più restrittive ed antidemocratiche tra quelle adottate da sistemi teoricamente liberali, imposto dai militari dopo il colpo di stato fascista del 1980: per entrare in Parlamento una forza politica deve ottenere almeno il 10% dei consensi, e ciò ha sempre tenuto fuori dalle istituzioni centrali i partiti di sinistra. Erdogan ieri si è detto disponibile a discutere di un cambiamento della norma, ma ha lasciato aperte varie strade, comprese alcune altrettanto liberticide, come passare dal sistema proporzionale a quello uninominale secco. Sul fronte delle riforme politiche il premier ha poi detto che si farà promotore di una legge per attribuire il finanziamento pubblico anche a quei partiti che superino la soglia del 3% dei voti.

Sul fronte dei diritti democratici Erdogan ha detto cose abbastanza vaghe. Il premier ha annunciato che verranno aumentate le pene detentive per coloro che si macchiano di “crimini d’odio” e atti di discriminazione a sfondo religioso, etnico, razziale e sessuale e che sarà riformata la “legge sulle riunioni pubbliche e le manifestazioni”. L’unica misura certa annunciata è stata la storica rimozione del divieto di portare il velo sul posto di lavoro per le impiegate pubbliche (tranne nella polizia, nell’esercito e nella magistratura): misura accolta con favore anche dai settori progressisti della società ma che evidentemente non risponde a criteri di giustizia quanto alla necessità per Erdogan di accreditarsi tra i settori islamisti e tradizionalisti della società turca.

Sul fronte dei diritti delle minoranze Erdogan ha fatto concessioni poco più che simboliche. Nella scuola, ma solo in quella primaria, non dovrà più essere recitato all’inizio delle lezioni il giuramento dello studente, che iniziava con “sono un turco”. Ha dichiarato che il monastero di Mor Gabriel tornerà proprietà della Chiesa siriaca e che ‘presto’ nascerà l’Istituto nazionale per la lingua e la cultura rom. Niente riapertura, invece, del seminario greco ortodosso di Halki sull’isola di Heyebeliada nel Mar di Marmara.

Senz’altro il capitolo più atteso era quello riguardante il trattamento della consistente comunità curda – quindici milioni di persone – al centro anche di un difficile negoziato con la guerriglia del Pkk che durante l’estate ha annunciato la fine del ritiro dei suoi combattenti dal Kurdistan turco viste le inadempienze del governo in merito alla road map concordata. Ma la risposta alle dichiarazioni di ieri di Erdogan sono state assai negative. Il premier ha annunciato che verrà approvata una nuova legge che consenta l’insegnamento in curdo e in altre lingue diverse dal turco ma solo nelle scuole private di ogni ordine e grado. Certamente un progresso rispetto al divieto di insegnamento del curdo finora vigente, ma una mossa poco più che formale considerando che alle costosissime scuole privati ha accesso una piccolissima fetta delle comunità curde della Turchia. Il premier ha comunque annunciato anche la possibilità – ma la competenza è del Ministro degli Interni – di ripristinare i nomi in curdo di paesi e città, turchizzati a forza dopo la fondazione della Repubblica nel 1923. Ha poi detto Erdogan che ‘presto’ sarà consentito l’uso pubblico di lettere – come la Q, la W e la X – finora vietate perché non presenti nell’alfabeto turco.

Niente, nelle parole di Erdogan, sul riconoscimento dei diritti nazionali curdi, sulla liberazione delle migliaia di prigionieri politici – primo tra tutti Abdullah Ocalan – o sul cambiamento di una legislazione ‘antiterrorismo’ che ha portato in questi anni alla chiusura di partiti e giornali e all’incarcerazione di migliaia di attivisti, compresi sindaci e parlamentari.
Dura, ovviamente, la reazione del BDP, il Partito per la Pace e la Democrazia. Una vera stroncatura il commento del vicepresidente del partito, Meral Danış Beştaş: “Si conferma la detenzione dei nostri amici in carcere. Non riconosciamo questo pacchetto perché l’istruzione in lingua madre non viene riconosciuta, lo sbarramento elettorale non viene eliminato, le condizioni dell’isola di Imrali (dove è rinchiuso in isolamento Abdullah Ocalan, ndr) non vengono migliorate e le condizioni di trattativa comunicate dal Signor Ocalan non sono state realizzate”. Dura anche un’altra parlamentare del BDP, Gültan Kışanak: “Non è un ‘pacchetto’ che risponde alle esigenze di democratizzazione della Turchia. (…) Tutte le barriere rispetto alla libertà di pensiero e di assemblea restano intatte”.

 

Ieri, mentre Erdogan in tv spiegava le sue ‘riforme’, a Diyarbakir sono scese in piazza  30 mila persone per chiedere la libertà per Abdullah Ocalan e protestare contro la persecuzione del popolo curdo. La zona della manifestazione era piena di poliziotti a sorvegliare la situazione con l’ausilio degli elicotteri. La polizia ha tentato di bloccare il corteo e ne sono seguiti scontri con la polizia. 

E’ attesa per le prossime ore o i prossimi giorni la reazione del PKK e delle altre organizzazioni popolari curde che visti i presupposti difficilmente sarà positiva.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *