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Cambogia. La polizia spara sugli operai, 3 morti

Delocalizzare la produzione significa anche esportare il conflitto sociale altrove. E se qui nei “paesi avanzati” la paura di perdere il posto di lavoro per il momento sembra prevalere sulla necessità di conquistare un miglioramento nelle condizioni di vita, altrove la crescita impetuosa della produzione e dei profitti scatena la lotta per rivendicare salari più alti.

Almeno tre operai sono morti oggi in Cambogia quando la polizia militare ha aperto il fuoco per tentare di sedare una protesta dei lavoratori di una fabbrica tessile. Secondo i testimoni i morti potrebbero essere anche quattro. Gli agenti erano armati di fucili d’assalto (armi militari, dunque) e pistole, mentre i lavoratori disponevano soltanto di sassi e bottiglie.

La richiesta esplicita alla base dello sciopero che dura da molti giorni e che ha portato alla paralisi di fabbriche e strade è il raddoppio del salario minimo, mentre l’esecutivo pochi giorni fa si era detto disponibile al massimo ad un aumento da 80 a 95 dollari al mese. Proposta oscena che i sindacati hanno rifiutato continuando la mobilitazione dei 650 mila lavoratori del settore che traina le esportazioni del paese all’estero.
La risposta del governo è stata il fuoco aperto dalla polizia. Secondo la stampa un centinaio di soldati in tenuta antisommossa – membri di una speciale unità antisommossa dell’esercito (l’Unità 911) – si sono avventati con violenza sui lavoratori che protestavano fuori dalla loro fabbrica situata a circa 20 km ad ovest della capitale Phnom Penh. Oltre ai morti e ai feriti ci sarebbero almeno 10 operai arrestati.

Le proteste dei lavoratori del settore tessile e non solo si sono sommate a quelle dei partiti di opposizione scesi in piazza per chiedere le dimissioni del premier Hun Sen, rieletto lo scorso luglio con una consultazione dichiarata irregolare dagli oppositori dopo 28 anni al potere.

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