Toccato con mano il proprio strapotere, legittimato dal referendum costituzionale anti Fratellanza, il generale Al Sisi annuncia la candidatura alle presidenziali.
Lo fa prima dell’ufficializzazione dei dati elettorali che confermano un sì schiacciante al 97,7% con una partecipazione che s’aggira sul 38,5%. Finora i consensi registrati sono venti milioni, stasera s’ultimerà lo spoglio ed entro domenica sarnano diffusi i dati definitivi. Le presidenziali, secondo quanto disposto in un primo tempo dal Capo di Stato ad interim Adly Mansour avrebbero dovuto seguire le elezioni politiche, visto che il Paese è da mesi privato delle assemblee rappresentative. Ma pare che il gruppo degli esperti, lo stesso che ha scritto l’attuale Costituzione, opterà per rovesciare ancora una volta le regole stabilite. Diversi partiti laici approvano la mutazione delle regole, dai nasseriani di Sabbahi che ripropone una sua candidatura ad una già scritta corsa presidenziale, ai liberali del Free party. Contrari stavolta i salafiti di Al Nour che rivorrebbero presto un seggio in Parlamento, pur coscienti che stavolta la pesca elettorale non sarà abbondante come nel 2011-12. Contrario anche lo Strong Egypt Party di Abol Fotouh, l’unica forza politica organizzata ad aver praticato il boicottaggio referendario (gli altri erano movimenti e il non più Partito della Libertà e Giustizia messo fuorilegge dai militari). Fotouh ribadisce il pericolo del personalismo autoritario in atto con una simile investitura.
Invece il refrain ripetuto dai portavoce e dai leader che hanno voluto la nuova Costituzione (lodata da Moussa come garanzia di laicità, diritti e assistenza agli strati più poveri) è che l’Egitto riacquisterà stabilità interna e credibilità mondiale con l’elezione di un presidente di polso. Concetto che è di per sé un orientamento di voto favorevole all’uomo forte con le stellette. Una necessità assoluta da attuare in tempi rapidissimi. Ed è un richiamo anche ai protettori d’Oltreaoceano che, dopo il disarcionamento di Mubarak, s’erano gradualmente convinti del possibile esperimento d’un governo di Islam moderato, fra i mal di pancia del potente alleato saudita. Ora si torna all’antico, con ricorsi storici assai più brevi di quelli predetti nelle teorie vichiane.
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