Il mondo sta proprio cambiando se anche nella normalmente tranquilla (almeno sul fronte sociale) Bosnia-Erzegovina, federazione nata dalla guerra fratricida seguita alla deflagrazione dell’ex Jugoslavia, si assiste da almeno tre giorni a una vera e propria rivolta popolare che chiede le dimissioni dei governi locali e di quello centrale.
Un’esplosione di rabbia a partire da una situazione più che insostenibile dal punto di vista sociale ed economico, con la disoccupazione ufficialmente al 28% ma in realtà vicina al 40%, un paese diviso su basi etniche e preda di una classe dirigente inetta e corrotta.
A Tuzla, nel nord del Paese, oggi centinaia di dimostranti sono entrati nel municipio e l’hanno dato alle fiamme mentre in piazza si contano almeno sei mila persone tra operai, studenti e pensionati. Ieri migliaia di persone hanno forzato un cordone di polizia che impediva l’accesso alla sede dell’amministrazione regionale ed hanno lanciato pietre e torce incendiarie contro l’edificio, mandando in frantumi tutte le finestre dello stabile. Già mercoledì scorso, sempre a Tuzla, migliaia di lavoratori hanno dato inizio ad una rivolta che si sta estendendo a tutta la Bosnia, superando anche i confini etnici. La rabbia popolare è esplosa quando migliaia di operai e disoccupati hanno cercato di irrompere in un palazzo governativo per parlare con i funzionari, incolpati della bancarotta di quattro aziende statali avvenuta a seguito della loro privatizzazione negli anni 2000-2008, ordinata dall’Unione Europea e gestita da un’impresa tedesca.
Le quattro ex compagnie statali, tra cui fabbriche di mobili e di detersivi, impiegavano gran parte della popolazione della terza città della Bosnia. Le aziende furono vendute a proprietari privati, che a loro volta rivendettero le partecipazioni, smisero di pagare i lavoratori e presentarono l’istanza di fallimento. Ora circa 10 mila lavoratori si sono ritrovati senza nessuna occupazione e senza sussidio e ora chiedono un posto di lavoro o una pensione.
Scontri si sono verificati anche a Sarajevo dove la polizia ha usato proiettili di gomma e granate per disperdere le proteste. Già venerdì scorso i manifestanti avevano rifiutato un incontro con il presidente del governo regionale, Sead Causevic, di cui la piazza chiede le dimissioni. I manifestanti chiedono anche la testa di Nermin Niksic, primo ministro della Federazione.
Oggi nella capitale bosniaca i manifestanti hanno fatto irruzione nella sede del governo cantonale, dove hanno appiccato il fuoco. Secondo la tv di stato, “dei contestatori hanno infranto le finestre e hanno appiccato il fuoco alle garitte delle guardie e ai locali” degli uffici governativi.
Ma la protesta non si limita solo a Sarajevo e a Tuzla; proteste e manifestazioni si sono svolte in questi giorni anche in altre venti città grandi e piccole del paese tra cui Bihac, Mostar e Zenica. Sabato scorso è stata la prima volta anche per Banja Luka, capitale della Repubblica Spska, la Repubblica serba di Bosnia. Qui alcune centinaia i persone hanno fatto una “passeggiata di protesta” per le strade della città e il corteo, passando davanti alla presidenza cantonale hanno scandito “ladri, ladri!” e slogan contro le privatizzazioni.
Secondo la stampa locale la rivolta popolare sta ormai uscendo dagli argini e nelle prossime ore la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi.
Finora sarebbero oltre 200 i feriti e alcune decine i manifestanti arrestati.
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