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Turchia: Erdogan, disperato, imbavaglia internet e giudici

Più Erdogan e il settore del governo liberal-islamista che a lui fa riferimento si sentono deboli e accerchiati, più ricorrono a misure coercitive volte ad aumentare il loro controllo sulla polizia, sull’esercito, sulla magistratura, sull’economia. Ed ora anche sulla libera circolazione delle informazioni.

In Turchia da sempre vige una rigida e capillare censura su tutti i mezzi di comunicazione, e negli ultimi decenni decine di giornali e riviste – soprattutto di sinistra o legate alla comunità curda – sono stati chiusi dalle autorità senza grandi complimenti. La Turchia, denunciano le ong internazionali che si occupano di libertà di stampa, è il paese con il maggiore numero di giornalisti incarcerati al mondo. Una tendenza alla persecuzione dei giornalisti e di chiunque diffonda notizie in contrasto con l’ideologia ufficiale e con le versioni ufficiali diffuse dal governo che si è ulteriormente rafforzata con l’inizio della rivolta di maggio. Nei mesi estivi molti noti giornalisti, editorialisti e direttori di tv e riviste hanno perso il loro posto di lavoro o sono stati addirittura denunciati perché avevano osato riportare critiche alla repressione delle proteste di piazza contro l’esecutivo. Per non parlare di centinaia di blogger o media-attivisti più o meno improvvisati finiti in carcere nel corso di diverse retate, accusati di reati affini al terrorismo semplicemente per aver divulgato informazioni o foto considerate proibite. A fare le spese della ‘scarsa simpatia’ del regime nei confronti degli operatori dell’informazione sono stati anche numerosi giornalisti e fotoreporter stranieri, compresi alcuni italiani, picchiati e rinchiusi in cella finché le rispettive ambasciate non sono riuscite a riportarli a casa.
Più volte, durante i moti popolari di giugno, il governo e il premier in particolare hanno puntato il dito contro la rete e in soprattutto contro Twitter e Facebook, e molti giovani e giovanissimi utenti dei social network sono stati denunciati e incarcerati per i loro tweet.
D’altronde in Turchia la ‘rete’ è sempre stata sottoposta ad un rigido controllo, e sono migliaia i siti – non necessariamente di contenuto politico – che non sono accessibili dal territorio turco o che vengono minuziosamente monitorati.
Una censura che evidentemente non è sembrata sufficiente al Partito della Giustizia e dello Sviluppo, visto che comunque le informazioni diffuse tramite blog e social network riescono a bypassare il controllo dei media ufficiali, molti dei quali del resto sono di proprietà di imprenditori e ambienti filogovernativi sui quali agisce già l’autocensura dei contenuti.

E così il governo ha presentato in parlamento una legge che concede carta bianca all’esecutivo in materia di controllo di internet, un bavaglio sull’informazione senza precedenti anche per un paese a ‘libertà condizionata’ come la Turchia.
Dopo alcune ore di acceso dibattito e scontro, ieri notte il Parlamento di Ankara ha approvato un provvedimento che di fatto permette al governo – attraverso speciali autorità preposte al monitoraggio di internet – di intervenire rapidamente e direttamente sui siti “colpevoli” di diffondere informazioni incriminate oscurandoli. Niente formali passaggi attraverso la magistratura, basterà un click ai funzionari del Tib – l’Autorithy per le Telecomunicazioni – per bloccare siti non graditi. Le aziende che garantiscono l’accesso ad internet dovranno aderire a un nuovo organismo, “l’Unione dei provider”, sottoposto al controllo diretto del ministero delle Telecomunicazioni. La Tib avrà anche la facoltà di chiedere ai vari gestori dei servizi di connessione l’accesso ai dati degli utenti per controllare la loro attività sulla rete; e questi dati potranno essere tenuti in archivio per due anni, anche se l’internauta non ha mai avuto problemi con la legge. Un sistema di censura e spionaggio legalizzato.

Non sono servite a niente le critiche o l’aperta opposizione dei partiti di opposizione, dei sindacati e delle associazioni di categoria, di tutti i principali media del paese e addirittura della Confindustria turca, la Tusiaid, preoccupata anche per le ricadute economiche del bavaglio.

Secondo l’Akp la legge è necessaria a tutelare i minori, a combattere la diffusione della pornografia e ad oscurare pagine che incitano all’odio raziale, religioso o etnico, “violano la privacy dei cittadini”, o accusate di diffondere informazioni giudicate “discriminatorie o calunniose”.

E’ evidente a tutti che Erdogan e il suo entourage mirano a limitare il più possibile la circolazione delle notizie sulle inchieste che stanno rivelando al paese l’elevatissimo grado di corruzione dell’Akp e degli ambienti economici ad esso collegati. Oltre, naturalmente, a chiudere la bocca a tutte quelle realtà sociali e politiche – ambientalisti, comunisti, anarchici, kemalisti, curdi e aleviti – che contestano le politiche speculative, autoritarie e islamizzatrici dell’esecutivo, critiche alla base della cosidetta ‘rivolta di Gezi Park’.
A fine marzo milioni di turchi voteranno per il rinnovo delle amministrazioni locali, e in ballo c’è la poltrona di sindaco di Istanbul, che secondo i sondaggi potrebbe essere persa dagli uomini di Erdogan con tutto ciò che ne conseguirebbe sul piano nazionale in termini di clientelismo, appalti e business, oltre che politico.

In questi giorni il governo sta cercando di far passare anche una (contro)riforma della Giustizia che sancisca il controllo diretto della magistratura da parte dell’esecutivo per evitare che i competitori dell’Akp all’interno delle classi dirigenti – la polemica nei confronti di Fethullah Gulen e degli ambienti a lui fedeli è ormai frontale – possano utilizzare inchieste sulla corruzione per estromettere Erdogan dal potere. L’Akp, dopo aver depurato polizia e magistratura da migliaia di dirigenti, ufficiali e procuratori e giudici ritenuti poco affidabili, punta ora ad accentrare direttamente nelle proprie mani tutte le leve del potere. 

In un tentativo tardivo di blandire i settori militari vicini all’opposizione nazionalista e laicista il governo ha presentato in parlamento una riforma giudiziaria che prevede la soppressione dei tribunali speciali che negli ultimi anni hanno spedito in galera, condannandoli a pene enormi, centinaia di generali e ufficiali considerati a capo di un complotto per rovesciare il governo dell’Akp. Ma ormai il grosso dell’epurazione dell’esercito è stato fatto, e l’iniziativa di Erdogan appare assai maldestra.

Ora c’è attesa per la decisione del Presidente della Repubblica, Abdullah Gul: firmerà e promulgherà le nuove leggi liberticide oppure le rimanderà indietro al termine dei 15 giorni che la legge gli concede? Gul, non è un mistero, è alla guida di un settore dell’Akp che non vede di buon occhio l’accentramento di tutto il potere nelle mani del ‘sultano’ e potrebbe quindi dare una mano agli assalti di Gulen, in nome di un ricambio tutto interno della classe dirigente liberal-islamista. 

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