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Serbia: vittoria della destra europeista

Dopo aver liquidato il precedente governo di coalizione con i socialisti, dopo aver insistito per andare subito a nuove elezioni, ora il liberista Aleksandar Vucic ha spazzato via alleati ed avversari e può contare su una larga maggioranza in Parlamento per «rinnovare completamente il Paese», il che in pratica vuol dire portare a termine controriforme neoliberiste rimaste finora incompiute e accelerare l’avvicinamento del paese a Bruxelles.

Teoricamente Vucic è un ultranazionalista. Nel 1995 in piena crisi bosniaca in parlamento pronunciò una frase rimasta impressa nella memoria di molti: «Per ogni serbo che verrà ucciso ammazzeremo cento musulmani. Vediamo chi accetta la sfida e osa attaccare». Poi è stato anche ministro dell’Informazione durante il governo Milosevic, ai tempi della guerra del Kosovo. Ma oggi il leader liberale di destra dice di essere pronto a cedere definitivamente sul Kosovo a patto che l’Ue accetti quanto prima l’ingresso della Serbia nell’Ue. Il rampante leader politico ora ‘chiede scusa’ per i peccati di gioventù e dice di volersi dedicare solo ai suoi obiettivi: eliminare le imprese di Stato e privatizzare tutto ciò che rimane da privatizzare e sostenere l’iniziativa privata. Nel frattempo l’economia del paese va a rotoli e una delle prima misure del nuovo governo potrebbe essere quella di chiedere un ennesimo prestito agli strozzini del Fondo Monetario Internazionale.

Il trionfo elettorale in Serbia di Aleksandar Vucic e del suo Partito del progresso (Sns), una forza di centrodestra e apertamente a favore dell’integrazione di Belgrado nell’Unione Europea che ha raddoppiato i propri voti rispetto alle scorse elezioni, ha ridotto il numero dei partiti rappresentanti in Parlamento. Dall’assemblea legislativa sono state escluse infatti formazioni che fanno capo a esponenti politici noti e di grande peso, rimaste sotto lo sbarramento del 5%.

Stando ai dati non ancora definitivi ma ormai consolidati, con l’Sns hanno ottenuto seggi altre tre sole forze: il Partito socialista (Sps) di Ivica Dacic, il Nuovo partito democratico (Nds) di Boris Tadic e il Partito democratico (Ds) di Dragan Djilas. Senza deputati resta il Partito democratico della Serbia (Dss) del nazionalista anti-UE e anti Nato Vojislav Kostunica, ex premier ed ex presidente del paese dopo la defenestrazione di Slobodan Milosevic nel 2000. Ma fuori dal parlamento resta anche il Partito delle regioni (Urs) di Mladjan Dinkic, noto economista in passato ministro delle Finanze e considerato il fautore dell’investimento Fiat in Serbia. Fu lui infatti nel 2008 a firmare l’accordo con il Lingotto per l’avvio della produzione Fiat nello stabilimento di Kragujevac. E senza seggi parlamentari si ritrova anche Cedomir Jovanovic, leader del Partito liberaldemocratico (Ldp), una formazione di centrosinistra ed europeista che faceva parte in passato del Partito democratico di Zoran Djindjic, il giovane premier assassinato nel marzo 2003.
Gli ultimi dati diffusi dalla commissione elettorale, relativi al 65,3% dei seggi scrutinati, assegnano il 48,44% dei voti all’Sns (con 156 dei 250 seggi del parlamento unicamerale), il 14,05% all’Sps (45 seggi), il 5,86% all’Nds (18 seggi) e il 5,46% al Ds (17 seggi).
Molto bassa l’affluenza alle urne, segno di disaffezione della popolazione rispetto alla classe politica nel suo complesso. A votare è andato solo il 50,3% degli aventi diritto, inferiore rispetto alla votazione precedente nel 2012.

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