Scrissero alcuni media arabi qualche tempo fa che il nuovo Comandante dell’Esercito siriano libero (braccio armato dell’opposizione siriana) Abdullah Al Bashir, sarebbe stato curato e poi addestrato dagli israeliani dopo che era rimasto ferito nel corso di un combattimento con le forze regolari di Damasco.
Ora, sul giornale arabo Al Arab stampato a Londra – ma la notizia è stata presto riportata anche sulle pagine di Haaretz e di altri quotidiani israeliani – alcuni membri dell’opposizione siriana hanno rivolto al governo di Tel Aviv l’invito a sostenere con armi e finanziamenti le milizie che si battono contro il governo di Damasco. In cambio, le opposizioni siriane rinuncerebbero alle alture del Golan. Le alture del Golan sono una porzione di territorio siriano occupato e militarizzato da Israele nel 1967 e poi illegalmente annesso da Tel Aviv nel 1981 ma ancora abitato da circa ventimila cittadini siriani (altri 120 mila sono stati cacciati all’epoca dalle loro case).
In cambio della generosa offerta Israele dovrebbe non solo sostenere l’Esercito Siriano Libero di armi e soldi, ma anche imporre una no fly zone nei territori meridionali della Siria così da proteggere le basi dei ribelli dagli attacchi dell’esercito di Assad. Con i suoi patriot Israele dovrebbe ‘coprire’ un centinaio di chilometri di territorio, fino a Damasco e Deraa. Secondo il leader ‘liberaldemocratico’ e membro di rilievo della Coalizione Nazionale Siriana l’intervento militare di Israele non sarebbe meno giustificabile di quello della Nato.
Ma si sa che le no fly zone sono finora sempre state l’anticamera delle invasioni di paesi presi di mira dalle potenze occidentali, e non è un caso che per almeno due anni il regime turco abbia cercato di convincere gli Stati Uniti della necessità di imporne una nel nord della Siria, per ‘motivi umanitari’.
Promotore dell’iniziativa è Kamal al-Labwani, uno dei leader delle opposizioni siriane, capo della cosiddetta Unione Liberaldemocratica, secondo il quale “vendere le alture del Golan è meglio che perdere sia la Siria che il Golan”. Già in passato
Naturalmente la proposta rivolta da uno dei più influenti capi dell’opposizione siriana ad un paese che rimane nemico della Siria – non solo del governo Assad – ha scatenato una ridda di polemiche sia contro che dentro il variegato arcipelago dei gruppi il cui unico comun denominatore è la cacciata di Assad.
I contatti tra i ribelli e Israele erano stati confermati già il mese scorso da un ufficiale dell’esercito israeliano, nello stesso momento in cui Tel Aviv, mostrando una assai interessata generosità nella cura dei profughi siriani, garantiva in realtà sofisticati trattamenti medici a centinaia di ribelli siriani poi tornati a combattere in patria (per quelli che sono siriani, visto che moltissimi vengono da decine di paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa).
Per ora da Israele non sono venute risposte di alcun tipo all’offerta di Kamal al-Labwani e dei suoi. Anche perché Israele il Golan non ha nessuna intenzione di cederlo alla Siria, né che al potere ci sia Assad né che questi venga sostituito da qualcuno di meno inviso a Tel Aviv. La settimana scorsa il governo israeliano ha presentato un piano edilizio per la costruzione di oltre 400 nuovi insediamenti illegali nei prossimi quattro anni, per un totale di 23 mila nuovi coloni incoraggiati a stabilirsi nel territorio siriano occupato da offerte di lavoro e riduzioni sulle tasse.
Intanto però è proprio in quei 1800 chilometri quadrati di territori occupati che si concentra l’attenzione dei contendenti. Oggi almeno tre soldati israeliani sono rimasti feriti in una esplosione avvenuta non lontano dalla linea del cessato il fuoco con la Siria. “La frontiera siriana pullula di elementi jihadisti e di Hezbollah, cosa che costituisce una nuova sfida per Israele”, ha tuonato il premier israeliano Netanyahu. “In questi ultimi anni, siamo riusciti a mantenere la calma sulle Alture del Golan, nonostante la guerra civile in Siria, ma adesso agiremo anche là con forza per difendere la sicurezza di Israele” ha proseguito il Primo ministro israeliano.
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