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E’ morto Suarez, il franchista “democratico per necessità”

Per i quotidiani spagnoli e per la maggior parte di quelli internazionali, ieri se ne è andato “il primo premier democratico” della Spagna. Una sorta di eroe gentile, così lo descrivono gli smemorati media mainstream. Ma Adolfo Suarez (1932-2014) è stato molto di più, e di diverso. E’ stato colui che ha traghettato il franchismo spagnolo all’interno di nuove forme senza rompere assolutamente con il passato dittatoriale, complici il tragico cedimento della maggior parte dei partiti ‘democratici e antifascisti’ e il ruolo di primo piano svolto dal re Juan Carlos di Borbone, scelto a sua volta dal caudillo Francisco Franco come suo successore.

Dopo la morte in uno spettacolare attentato dell’ammiraglio Carrero Blanco ad opera dei baschi dell’Eta, il regime franchista fu investito da una crisi alla quale decise di sopravvivere cambiando le forme del dominio, ma non la sostanza. Per anni al vertice della dittatura si scontrarono due ‘partiti’. Da una parte quello reazionario e tradizionalista, desideroso di perpetuare il regime esattamente così come si era configurato a partire dalla vittoria dei ‘nazionali’ contro le forze repubblicane e di sinistra nel 1939; dall’altra un settore altrettanto reazionario ma più pragmatico, legato agli interessi dell’imprenditoria e della potente Opus Dei, conscio della necessità di adottare forme nuove per poter accedere alle opportunità economiche offerte dal mercato comune europeo e dalla possibilità che la Spagna fosse integrata nella Nato. Integrazione vietata a una dittatura fascista che mandava a morte i suoi oppositori ma non a un ‘nuovo’ regime monarchico e parlamentare, varato senza colpo ferire da un pezzo dello stesso regime e grazie alla collaborazione di liberali, socialisti e comunisti che rinunciarono ad ogni richiesta di cambiamento democratico minimo e accettarono una Costituzione basata su tre dogmi: capitalismo, l’esercito e centralismo.
A suggellare il patto di ferro che cambiava tutto per lasciare tutto come era sempre stato furono i famigerati ‘patti della Moncloa’ dell’ottobre-novembre del 1977.

Intanto i settori sindacali e politici che rifiutavano la legittimità del nuovo regime, soprattutto nelle terre irredente dei Paesi Baschi e della Catalogna, continuavano a subire il piombo della polizia e della Guardia Civil. Come quando il 3 marzo del 1976 gli agenti della Policia Armada aprirono il fuoco contro un gruppo di operai in sciopero nella città basca di Gasteiz. I lavoratori che scappavano da una chiesa investita dai lacrimogeni della polizia vennero falciati: cinque rimasero a terra senza vita, 150 vennero feriti e arrestati. E ancora il 13 novembre del 1979, quando due studenti che protestavano contro lo Statuto dei Lavoratori rimasero a terra colpiti a morte a Madrid dalla polizia. Quando non erano gli uomini in divisa a ricordare agli oppositori che nulla era cambiato rispetto ai tempi di Franco, erano quegli stessi uomini in borghese, inquadrati in squadroni della morte e bande di estrema destra. Come quando la notte del 24 gennaio del 1977 un commando fascista assassinò cinque avvocati antifascisti e militanti del Partito Comunista in calle Atocha n° 55, in uno studio legale di Madrid.

Il grande traghettatore di questo processo di autoriforma del regime – di cui i popoli e i lavoratori dello stato spagnolo pagano ancora le conseguenze – fu proprio lui, il duca Adolfo Suarez, messo a capo del governo dai franchisti e dal re dal 1976 al 1981.
Non era esattamente un ‘sincero democratico’ colui che oggi i media descrivono come ‘eroe della transizione alla democrazia’ in Spagna, anzi. Quando nel 1976 la crisi della dittatura convinse la sua classe dirigente a darsi una ripulita, Adolfo Suarez era da alcuni mesi il ‘Ministro Segretario Generale del Movimiento’, cioè il capo del partito unico fascista.
La sua carriera all’interno del regime era iniziata nel 1958, quando era entrato nella segreteria generale del Movimento franchista diventando poi nel 1961 capo del Gabinetto Tecnico del Vicesegretario Generale. Nel 1967 divenne procuratore nel parlamento per la provincia di Ávila e l’anno seguente Governatore Civile di Segovia. Dal 1969 al 1973 fu nominato Direttore Generale della Radio Televisione Spagnola (RTVE), nell’aprile del 1975 già Vicesegretario Generale del Movimento. E poi di nuovo promosso a capo del partito fascista l’11 dicembre del 1975, nel primo governo di Carlos Arias Navarro formato dopo la morte del dittatore Francisco Franco. Finché, a soli 43 anni, divenne Primo Ministro franchista di un governo non più franchista.
Per dare una parvenza di novità al personaggio e alla sua squadra di governo si inventarono anche un nuovo partito, la UCD, Unión de Centro Democrático. Il nuovo partito, formato da falangisti neanche molto ripuliti, da democristiani, liberali e qualche socialdemocratico, naturalmente vinse le elezioni del 15 giugno 1977. Nel frattempo Suarez aveva legalizzato i partiti e i sindacati e aveva ripristinato una relativa libertà di stampa, ma senza nessuno scossone dal punto di vista politico, economico e sociale. In sella era rimasta saldamente ancorata la vecchia oligarchia, mentre i falangisti di sempre continuarono ad occupare le più alte cariche dello stato, a governare le città e le province, a presiedere i tribunali e a dirigere i giornali, a gestire le associazioni degli imprenditori e dei commercianti. Un ministro di Franco, Manuel Fraga Iribarne, ha continuato a guidare la sua Galizia fino alla morte, pochi anni fa. Altro che transizione democratica… La fulminea carriera politica di Suarez si concluse bruscamente nel 1981, quando la destra franchista ormai riciclata nelle nuove istituzioni decise di dotarsi di un suo partito, la Alianza Popular, poi trasformatosi in Partido Popular dopo la parentesi del primo governo “socialista” dell’ultraliberista e thatcheriano Felipe Gonzalez. Tentò di continuare a guidare la scena politica spagnola a capo di un nuovo movimento centrista, il Centro Democratico e Sociale (Cds) ma con assai scarse fortune. Il “salvatore della patria”, “l’eroe della transizione” ormai non serviva più, e il franchista ‘democratico per necessità’ venne sbrigativamente accantonato e dimenticato.
Tre giorni prima delle sue dimissioni, il 23 febbraio del 1981, un pezzo del regime sopravvissuto nelle nuove forme monarchico-parlamentari decise di intervenire a gamba tesa per imporre alle ‘nuove’ istituzioni democratiche un ulteriore giro di vite. E così un gruppo di militari al comando del tenente colonnello della Guardia Civil Antonio Tejero fecero irruzione all’interno del Congresso dei Deputati, armi alla mano, per ristabilire l’ordine. Racconta la vulgata di comodo che grazie al Re il colpo di stato fallì, ma da quel momento il parlamento e la classe dirigente spagnola rinunciarono a molte delle riforme federaliste, economiche e democratiche in cui erano impegnati all’epoca del ‘folkloristico’ assalto dell’uomo coi baffi e col tricorno in testa.

Suarez è scomparso ieri al termine di una lunga malattia. Narrano alcuni biografi che negli ultimi tempi avesse quasi completamente perso la memoria, e che già nel 2007 al monarca che lo riceveva nella sua residenza chiese “Chi sei tu?”.
Una metafora involontaria di una grande amnesia collettiva, quella di un popolo e di un mondo dei media mainstream che oggi piangono la scomparsa di un aguzzino spacciato come liberatore e che ripropongono una stantia ed edulcorata versione dei fatti: la transizione pacifica, ordinata, perfetta… Così perfetta da lasciare sostanzialmente il quadro immutato e da richiedere oggi una vera rottura: con il vecchio regime mai venuto meno, ma anche con quello nuovo della troika e dell’austerity contro cui sabato sono scese in piazza a Madrid un milione di persone.

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