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Diyarbakır, i ragazzi dei giardini di Hevsel

DIYARBAKIR – I ragazzi delle piante che non ci sono più presidiano il luogo. Una zona verde vicinissima a Diyarbakır (Amed in kurdo) di proprietà della locale università che ha concesso alcuni ettari al ministero degli Interni. Quest’ultimo senza pensarci su ha deciso di costruire lì degli edifici e venderli, un cambio di destinazione d’uso a vantaggio della speculazione edilizia e delle sue casse. Appena diffusa la notizia giovani e studenti della zona sono accorsi per protestare, evidenziando le storture della gestione dei due dicasteri responsabili d’un attacco ecologico al territorio. Nei giorni seguenti l’avvio d’un presidio permanente ha ricevuto visita e assalto dei reparti di polizia giunti a manganellare e sgombrare. Poi per mostrare i muscoli agli attivisti e alla stessa natura una squadretta in borghese ha provveduto a tagliare alberi d’alto fusto sparsi su quell’area chiamata i giardini di Hevsel. E’ la rivalsa dello Stato turco su una comunità socio-politica che rivendica presenza e controllo della terra che nell’antichità era un tesoro di frutteti. Ancora oggi è un altopiano fertilissimo bagnato dal Tigri dove, fra gli altri esemplari, cresce un tipo d’anguria gigantesca.

Dopo le sassaiole i ragazzi sono tornati, piantando sul posto tende e striscioni che ricordano i militanti dei partiti legali (BDP) e illegali (PKK) uccisi nel tempo. Combattenti della cultura come la cantante della guerriglia Şehit Delila (https://www.youtube.com/watch?v=fqHCtwcSK6g), colpita proprio quando le cose iniziavano a cambiare seguendo le aperture avviate da Erdoğan, che comunque verso i kurdi per anni ha praticato uno ‘stop and go’ di avanzamenti e retromarce condito di repressione. Per fortuna l’epoca delle persecuzioni feroci con arresti di massa anche in questa città e nei villaggi limitrofi sembrano alle spalle. Alcuni dei ragazzi del presidio ne hanno avuto notizia dai fratelli maggiori o dai genitori che non vogliono spezzare il filo della memoria. Un legame che passa anche attraverso l’uso del linguaggio, sempre meno utilizzato dalle giovani generazioni che devono rapportarsi al mondo globalizzato e immagazzinano nella mente il turco oppure l’inglese e il tedesco della scuola. Perciò centri culturali che riescono a sopravvivere (la Casa Dengbej) o vengono rilanciati dal desiderio di testimoniare un passato millenario, richiamato anche nelle teorizzazioni dell’uomo simbolo della rivendicazione identitaria – Abdullah Öcalan –, proseguono un rapporto con l’arte basato su canti e danze.

Con talune leggi avviate nello scorso autunno ora i sindaci hanno la facoltà di disporre di fondi senza attendere che giungano dal governo centrale. Una parte delle tasse della popolazione resta nelle casse municipali. Con questo decentramento federale l’amministrazione non deve più spendersi in richieste e preghiere ai politici di Ankara per finanziare opere locali attese da decenni. E’ il caso d’un servizio di tram che i 600.000 cittadini (un milione e duecentomila nell’intera provincia) aspettano da un decennio e il cui progetto resta bloccato in prefettura. Burocrazia che, col voto kemalista o islamico, non faceva bene alla gente di Amed. Così dalle amministrative dei prossimi giorni le attese si sommano: la coppia del BDP candidata in città (Firat Anli e Gulten Kisanak) punta ad aumentare la percentuale di voto attestato nelle ultime consultazioni attorno al 64%. Pensa di continuare a dirigere la municipalità e avere la forza economica per costruire, ad esempio, un nuovo ospedale che rimpiazzi il vecchio dismesso e ora nelle mire del ministero della Difesa che vorrebbe inglobare quella struttura nelle tante caserme esercitative, tuttora presenti attorno alle millenarie mura. Come gli oltre 300.000 soldati. Avete capito bene, trecentomila, per i quali alloggi privati protetti da colleghi armati non mancano.

case militari

articolo pubblicato su   http://enricocampofreda.blogspot.it

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