Dopo la pausa elettorale è tornato nel Parlamento di Ankara il disegno di legge a favore dei Servizi segreti nazionali (Mıt) e ha immediatamente rilanciato un focoso dibattito. L’opposizione repubblicana è insorta annunciando il ricorso alla Corte Costituzionale se la misura dovesse passare. Il provvedimento è accusato d’imitare le ingerenze sulla vita politica nazionale a modello della discussa Intelligence siriana. La legge assicurerebbe altresì una copertura al premier Erdoğan coinvolto nello scorso dicembre nei casi di corruzione. Il progetto, presentato da due deputati del partito di maggioranza (Akp), prevede pene fino a 12 anni di reclusione per chi fosse trovato a divulgare documenti relativi all’attività di controllo operata dai Servizi. Quest’ultimi avrebbero la facoltà di condurre indagini in base a reali o presunte misure di sicurezza nazionale. Ovviamente ogni strumento necessario alle indagini, intercettazioni telefoniche su tutti, sarà garantito a vantaggio del solo Mıt. Un giornalista turco ha definito l’iniziativa utile al prosieguo dei “colloqui di pace” fra i vertici dell’Intelligence e il leader kurdo Öcalan. Il riferimento è rivolto anche agli incontri segreti tenuti a Oslo fra alcune componenti del Pkk e l’organizzazione diretta da Hakan Fidan.
Questa mossa aveva suscitato l’ira dell’opposizione che ha apertamente accusato il governo di tramare coi terroristi. Alcuni parlamentari sono passati al contrattacco, sostenendo come il limite della legalità del disegno sia già varcato nel momento in cui intende a fornire ai Servizi una licenza che solo la magistratura e la politica possono fornirgli. Nel sottolinearlo spolverano lo spauracchio della Gladio nazionale, quello ‘Stato profondo’ che negli anni scorsi ha visto proprio il Partito della Giustizia e dello Sviluppo impegnarsi a fondo per smascherare i tentativi golpisti del nucleo d’acciaio delle Forze armate organizzate nel cosiddetto piano Ergenekon. Una compagnìa, peraltro, nutrita non solo da militari, fra i cospiratori c’erano industriali e noti giornalisti. La tesi dell’opposizione è: col rafforzamento del proprio potere Erdoğan cerca di tutelarsi da investigazioni che possano riguardarlo, e con lui spulciare fra gli affari di famiglia da poco finiti nel mirino della magistratura e in pasto all’opinione pubblica. Il disegno consentirebbe agli agenti del Mıt di agire in maniera totalmente autonoma e anche sotto falsa identità rispetto a una verifica giudiridica del loro operato. Insomma si creerebbe un potere parallelo da Stato di polizia. A conferma della tesi c’è un conflitto di competenze sviluppatosi attorno al carico di certi Tir diretti in Siria.
Quei Tir, secondo un procuratore che sta indagando, trasportavano armi ed erano per l’appunto scortati da agenti dei Servizi. Sarebbe la conferma di uno dei risvolti presente negli articoli del reporter statunitense Seymour Hersh sull’attacco chimico in Siria del 21 agosto. Armi turche ai jihadisti di Al-Nusra. Tutto ciò irrita il premier, il quale sulla legge pro-Mıt prepara un affondo che rientra a pieno nella sua “vendetta elettorale”. Ben chiari e coercitivi gli effetti: dai 4 ai 10 anni di reclusione per chi recupera documenti riservati, pene che giungono a 12 anni di carcere se i medesimi report vengono diffusi tramite i media. Da parte sua l’organismo dell’Intelligence potrà accedere ai database di ogni ministero e potrà controllare le informazioni di ciascun cittadino, usando anche le schede compilate da aziende commerciali sulle consuetudini di consumatore. Il sottosegretario e gli ufficiali del Mıt, finora giudicati dalla Corte Criminale, saranno valutati dalla Suprema Corte d’Appello. Verrà anche creato un Ufficio di Coordinamento Nazionale dell’Intelligence (MİKK), formato dal segretario del Mıt, tre capi dell’Intelligence dello staff generale, i sottosegretari di alcuni ministeri. Le loro decisioni saranno vincolanti per tutte le istituzioni.
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