Lei guarda incredula e impaurita e si stringe al ragazzo che prova a discutere davanti al braccione nerboruto e minaccioso dell’uomo mascherato, mentre intorno vanno i gas, quelli che fanno vomitare e soffocano in una manciata di secondi. Già additati quali criminali agenti di morte per chi ha problemi respiratori e di circolazione. Accade su Istiklal Caddesi, il cuore dell’Istanbul incantata che si offre a cittadini e turisti, divenuta da un anno in qua la via della protesta, del pestaggio, del divieto.
La strada della morte fisica e della soppressione delle speranze di poter avere un altro modo d’incontrarsi, sedersi, passeggiare; di vivere, parlare e respirare. Di sognare in maniera diversa da quello che l’Atatürk islamico decide. Questo non si deve e non si può. Il padre-padrone non ammette figli ribelli, li vuole rieducare con dosi massicce di randellate e terrore. Lo fa con ogni turco dissociato dai suoi schemi grazie a uno stuolo di zelanti collaboratori. Come il proprio gosthwriter scalciante di Soma, come i venticinquemila agenti convocati sabato a Taksim contro chi voleva ricordare che in quel luogo a fine maggio s’agitò ingigantendosi il desiderio di dissenso. Una lesa maestà insopportabile che Erdoğan ordina di schiacciare coi numeri e una possente forza repressiva.
L’accanimento di taluni poliziotti, obbedienti e ossequiosi, era nulla di fronte a quel che mostrava chi ricopriva ruoli più elevati. Senza casco né manganello Ünal Altıner, il capo della polizia turca della metropoli sul Bosforo, viene fotografato con la linguetta appesa mentre spinge e stringe per la nuca due imberbi, incuranti di pericolo e botte, che s’erano uniti ai fratelli maggiori a mostrare il fegato di chi non si prostra. Il solerte cacciatore sosteneva che i due ragazzini tirassero sassi, da lì quella presa ferrea sui riccioli e sul desiderio di disobbedienza. Chi ieri, nel primo anniversario d’una protesta da seppellire e considerare mai esistita, è stato solo fermato, azzittito e portato via di peso può ritenersi fortunato. Così un noto cronista della CNN, strattonato prima e picchiato durante la mezzoretta trascorsa nella stazione della Jandarma Genel Komutanlığı. Perché in una Turchia dove rialeggia lo spettro della repressione di massa può capitare di molto peggio. L’abuso di potere e l’abuso di retorica con cui il premier cerca di estendere un personale regime, che ripercorre modelli presenti e vincenti nel panorama geopolitico mondiale, sono una realtà che ha polarizzato la nazione e la sua gente. Divisa, spaccata da richiami populisti e desiderio di farla pagare a chi ha altre idee e pensieri. Per esistere solo nell’omologazione plaudente, altrimenti si finisce distesi.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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