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Libia: attentato al generale golpista, verso un nuovo intervento occidentale?

Dopo alcuni giorni di relativa calma, la situazione in Libia sembra sul punto di precipare di nuovo. Il generale ‘a riposo’ Khalifa Haftar, a capo di un colpo di stato riuscito solo parzialmente e sostenuto da Stati Uniti e Unione Europea, è sfuggito oggi ad un attentato suicida con un’autobomba in cui sono rimasti uccisi tre dei suoi uomini. L’attacco è avvenuto contro uno dei quartier generali di Haftar nell’est del paese ed il generale, presente al momento dell’esplosione, è rimasto illeso. “Un attentato kamikaze con un’autobomba è stato compiuto contro una città dove eravamo riuniti. Tre soldati sono stati uccisi”, ha detto il generale Sagr al Jerouchi, capo delle operazioni delle forze aeree leali al generale Haftar.

Il tentativo di omicidio del leader delle forze golpiste potrebbe essere il preludio all’inizio di combattimenti su larga scala tra le forze islamiste e quelle che fanno riferimento proprio al generale, particolarmente forti nell’esercito e in alcuni settori dell’amministrazione statale.

In Cirenaica, in particolare a Bengasi, le truppe fedeli ad Haftar continuano a combattere contro gli integralisti di Ansar Al Sharia, ma lunedì notte a Tripoli il nuovo premier Ahmed Maiteeq con una prova di forza si è impossessato del palazzo del governo, nonostante la sua nomina sia stata approvata in maniera irregolare e senza il consenso del premier uscente al Than che aveva affidato alla Corte suprema la decisione sulla legittimità del nuovo esecutivo, che in parlamento ha ottenuto solo 113 voti a favore contro i 120 necessari.
Ma Maiteeq non ha atteso il pronunciamento della Suprema Corte ed ha annunciato alla tv che “il nuovo governo è entrato in carica”, e un suo portavoce ha confermato che “i consiglieri del nuovo governo sono potuti entrare senza problemi: non c’è stata alcuna opposizione da parte dei servizi di sicurezza schierati di fronte al palazzo”.

La nomina dell’uomo d’affari sostenuto dai Fratelli musulmani e dalle milizie di Misurata è stata giudicata un colpo di mano degli integralisti contro la parte laica del paese. Il che potrebbe ridare fiato proprio al generale Haftar e ai suoi sostenitori che hanno presentato il loro intervento militare – di fatto un tentativo di golpe malriuscito – proprio come il tentativo di ‘ripulire’ la Libia dagli estremisti islamici e dalle milizie sostenute anche dai network islamisti di Egitto e Algeria.

Secondo fonti diplomatiche, con Maiteeq si sono schierate alcune unità delle milizie di Misurata che erano arrivate da giorni alle porte di Tripoli, e che vengono sostenute dalle milizie di Tajura e Suk Al Juma, due quartieri di Tripoli in cui gli integralisti islamici hanno un forte radicamento.
Sul campo avverso sono schierate innanzitutto molte formazioni dell’esercito regolare, spezzoni delle varie polizie e forze armate che si sono formati dopo la dissoluzione del regime di Gheddafi, e la potente milizia di Zintan, che da anni ormai controlla l’aeroporto di Tripoli.

A Bengasi le milizie islamiste hanno lanciato un attacco alle postazioni dell’esercito fedeli al generale Haftar e nei combattimenti sarebbero morte almeno 30 persone mentre i feriti, compresi molti civili, sarebbero quasi 200.
Utilizzando toni trionfalistici il generale golpista ha fatto sapere di controllare l’80% del territorio di Bengasi, ma la realtà è che a qualche settimana dall’inizio delle operazioni militari contro gli avversari le forze filoccidentali non sono riuscite a imporre il loro potere al paese. Una debolezza che preoccupa gli sponsor internazionali del militare, che non fa mistero di identificarsi nel generale golpista egiziani Al Sissi e di cercare un legame assai stretto con Washington e con alcuni paesi europei.

In queste ore a Tripoli è arrivata una consistente pattuglia di rappresentanti dei governi degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia, della Germania, della Spagna, dell’Italia e dell’Unione europea, con il compito ufficiale di lavorare a una mediazione politica tra le due parti in causa. Appare evidente però che le grandi potenze e i paesi che posseggono forti interessi economici e geopolitici in Libia – uno dei maggiori produttori di gas e petrolio del mondo – sono in questi giorni al lavoro per imporre una soluzione a loro favorevole e per rimediare proprio al parziale fallimento del progetto di normalizzazione capeggiato dal generale Haftar.
A capeggiare la richiesta al ‘mondo occidentale’ affinché intervenga in Libia ‘prima che sia troppo tardi’ è l’amministrazione Obama. Nei giorni scorsi Washington ha già inviato in zona una nave anfibia, ka USS Bataan, con circa mille marines a bordo, ed ha rafforzato la presenza militare a Sigonella, dove ora si trovano centottanta marines, due “aerei cisterna” C-130 e quattro navi arrivate dalla Spagna, pronte evidentemente ad intervenire a Tripoli.

Il sostegno dell’amministrazione Obama ai golpisti sembra esplicito, visto che nei giorni scorsi l’ambasciatrice USA in Libia, Deborah Jones, ha detto senza peli sulla lingua di non poter “condannare l’operato di Haftar se va contro gruppi considerati terroristi dagli Usa”. Ma se il generale rifugiatosi per anni a Washington e ritenuto un agente dei servizi di sicurezza statunitensi non dovesse spuntarla, servirebbe un intervento militare diretto contro le milizie ostili agli interessi occidentali, e pare che il governo degli Stati Uniti preferisca che a ‘sporcarsi le mani’ siano gli europei. Non sono infatti mancate nelle ultime settimane le dichiarazioni in questo senso e le pressioni nei confronti di alcuni governi dell’Unione Europea da parte dell’amministrazione USA e del presidente Obama in particolare.

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