In base a quello che leggo e vedo, nei discorsi e nella realtà, mi verrebbe da dire che per i palestinesi non c’è scampo: Israele continua a godere del sostegno ideale e del supporto pratico dell’Occidente, così può completare l’opera di annientamento e di conquista.
Fin dall’inizio, non si è compresa l’unica visione strategica di Israele, del presente dei territori occupati, del loro futuro e dei rapporti con i palestinesi.
Eppure, lo stesso Netanyahu è stato più volte esplicito: la Palestina non esiste e mai esisterà.
Per esempio, il 23 settembre del 2023, dunque prima del 7 ottobre e della guerra contro Gaza, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite mostrò una mappa del Medio Oriente senza Palestina; tutti i territori palestinesi sono inglobati – annessi, per la precisione – in quello israeliano. In quell’occasione, Netanyahu affermò esplicitamente che «non esistono i palestinesi».
Non a caso, solo qualche settimana fa la Knesset, il parlamento israeliano, ha votato contro la creazione di uno stato palestinese.
Anche nel recente discorso al Congresso degli Stati Uniti, Netanyahu ha pronunciato un paio di frasi che rappresentano molto bene la visione strategica israeliana.
Nella prima, viene esplicitata la finalità dell’invasione continua dei territori palestinesi: «Per quasi quattromila anni, la terra di Israele è stata la patria del popolo ebraico. È sempre stata la nostra casa; sarà̀ sempre la nostra casa»; nella seconda, invece, viene confermata la volontà di occupare tutta Gerusalemme: «è la nostra capitale eterna che non sarà mai più divisa».
Il fatto più odioso è che questa visione non può che trasformarsi in una tragedia per i palestinesi; non esiste alternativa al loro sterminio, alla loro cacciata e alla loro segregazione.
Un esito che è la conseguenza logica delle azioni israeliane e che scarica sui palestinesi un destino di soppressione: dal momento che verrà impedita la nascita di uno stato palestinese, e che continuerà l’annessione israeliana di terre palestinesi, quale può essere la loro sorte?
La condizione dei palestinesi è, oggi, molto prossima alla sconfitta, così profondamente segnata dall’assenza di una prospettiva e dallo sterminio; mai come in queste settimane, si fa concreta la possibilità di una loro definitiva espulsione – o, nella migliore delle ipotesi, di una loro segregazione in riserve militarizzate.
Oggi, davvero, lo spazio palestinese è sempre più distante dal nome “Palestina” e sempre più simile a un bantustan o a una fossa comune.
Che cosa favorisce, particolarmente ora, questo esito? L’abiezione dei governi occidentali, principalmente. In questi anni, media e politici occidentali hanno tollerato, e spesso giustificato, una condizione di violenza quotidiana, fatta di espropri e di insediamenti; quante voci critiche si sono sollevate, dalle istituzioni europee, contro le pratiche coloniali di Israele?
Il recente pronunciamento della Corte internazionale di giustizia ha messo in evidenza la realtà effettiva di una occupazione totalizzante, del tutto illegittima e dannatamente violenta.
Eppure, solo pochi giorni dopo quella storica sentenza, non pochi paesi occidentali hanno espresso la loro vicinanza a Israele, tra applausi e strette di mano; forse inconsapevolmente, si è dato un segnale: non c’è diritto internazionale o umanitario che possa incrinare il sostegno occidentale alla visione strategica israeliana.
La guerra contro i palestinesi continuerà, e così la loro soppressione; il destino che appare più probabile è quello rappresentato dalla mappa di Netanyahu: tutti i territori una volta palestinesi diverranno di sovranità israeliana, mentre i “pellerossa” palestinesi sopravvissuti al genocidio saranno costretti dentro riserve, segregati sulla base dell’etnia e costretti a vivere sotto il controllo di uno degli eserciti più potenti al mondo.
Con il definitivo seppellimento dei “valori” occidentali.
* da Facebook
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Pasquale
Tutti i popoli che hanno deciso di rimanere umani dovrebbero convogliare, non so come, a Tel Aviv e prendere il criminale e tutti i suoi seguaci per il collo.
almar
Purtroppo sono indotto a credere che questa analisi di Gambula sia del tutto realistica, non vedo alcun futuro per i Palestinesi, se non l’esodo o la condizione di apartheid in Israele (quelli che sopraviveranno). Il progetto sionista risale nella sua formulazione alla fine del 1800 e la prima tappa della sua realizzazione è stata la “Pulizia etnica” del 1948, seguita dalla conquista della Giordania nel 1967 e dalla sua incessante colonizzazione, come affermato da Ilan Pappè nei suoi libri. Dove si potrebbe costituire oggi uno stato Palestinese? Non si vede. Oggi purtroppo siamo alla fase finale del progetto sionista, quello di espellere tutti i Palestinesi dalla loro terra, con il terrore della guerra incessante (a Gaza) e dell’azione violenta dei coloni (in Cisgiordania); se esaminiamo i fatti con realismo senza illudersi, si capisce che quello detto è l’obiettivo di Netanyahu e del suo governo, non altro. Ogni ipotesi di pace è una farsa. Se la strage di 16.000 bambini e le condizioni di vita in cui i sopravvissuti sono costretti dalla violenza israeliana, non riesce a risvegliare la coscienza, soprattutto di noi europei che le guerre le conosciamo bene, non c’è speranza per i Palestinesi. Il modo per far cessare questa orrore ci sarebbe: interrompere gli aiuti economici e militari ad Israele, ogni altra ipotesi è un inganno mediatico. L’indifferenza mostrata da tutti i governi ed istituzioni occidentali e da molte persone di fronte a questa tragedia è vergognosa.