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Kosovo, il parco della pace alimenta l’odio interetnico

Gli scontri del 22 giugno a Mitrovica hanno riacceso la tensione tra la comunità albanese e quella serba in Kosovo. Quali soluzioni per la convivenza?

È di tre giorni fa la notizia degli scontri avvenuti a Mitrovica, cittadina situata a nord del Kosovo, tra un gruppo di manifestanti albanesi e la forza di sicurezza internazionale presente in Kosovo e Metochia. Gli scontri hanno portato al ferimento di ventuno persone, di cui tredici facenti parte delle forze di sicurezza, e all’incendio di quattro mezzi di polizia. Cinque invece le persone arrestate dagli agenti. I fatti del 22 giugno impongono nuovamente una riflessionesulle strade da percorrere per far convivere, oltre le retoriche delle diplomazie, serbi e albanesi nella regione.

LA CITTÀ’ DIVISA – Kosovska Mitrovica, situata a nord della regione kosovara, è ormai famosa come “la città divisa”. Divisa dal ponte Austerliz, sotto il quale scorre il fiume Ibar. Sulla riva meridionale vivono gli albanesi, mentre dalla sponda settentrionale  in poi inizia la parte del Kosovo abitata dalla comunità serba. I rischi che comporta l’attraversamento del ponte sono altissimi. In una situazione del genere, anche fare la spesa può essere un problema, specialmente per i serbi che vivono nelle enclavi a sud, costretti a tornare da Mitrovica con lascorta al seguito.

IL PARCO DELLA PACE – L’ennesimo episodio di violenza è scaturito all’interno della manifestazione indetta dalla comunità albanese per protestare contro la creazione del “Parco della pace”, che dal 18 giugno ha sostituito la barricata costruita a ridosso del ponte dai serbinel 2011, come segno di protesta nei confronti delle rivendicazioni di sovranità avanzate sul nord del Paese dal governo kosovaro. Nonostante il ponte sia ora aperto al traffico pedonale, il parco ne rende impossibile l’attraversamento per i veicoli, particolare che ha fatto infuriare i manifestanti.

O NOI O VOI – «O noi o voi» è stato lo slogan con cui il corteo, solo nelle intenzioni pacifico, è stato lanciato dai mass media della parte albanese. È chiaro che con questi presupposti, tutt’altro che invitanti al dialogo e alla convivenza, un altro scenario era difficilmente immaginabile. I manifestanti si sono scontrati con le forze di sicurezza mentre cercavano di attraversare il ponte, sventolando bandiere statunitensi e lanciando cori inneggianti ai terroristi dell’Uck, il controverso gruppo armato che partecipò, insieme ai Paesi NATO, nella guerra contro l’allora Jugoslavia del 1999. Molti membri sono stati accusati di crimini internazionali, tra i quali anche il traffico di organi prelevati da prigionieri serbi.

LA REAZIONE DELLE AUTORITA’ – Il governo kosovaro non ha assolutamente gradito la costruzione del parco, protestando vivacemente. Come riportato da East Journal, il premier kosovaro Hascim Thaci ha giudicato la costruzione del parco come «un atto vergognoso [..] un gioco imbarazzante e pericoloso, ma prima di tutto illegale ed inaccettabile. I responsabili di queste azioni illegali affronteranno la legge un giorno o l’altro, la libertà di movimento è un diritto fondamentale che non può essere violato». Non è stato da meno Agim Bahtiri, sindaco di Mitrovica sud, che ha annunciato una manifestazione di protesta per la prossima domenica. Una scelta molto probabilmente avventata, che mantiene la tensione altissima.

IL POGROM DEL 2004 – Quando parlano di legalità e di libertà di movimento è lecito, anche se irrealistico, pensare che né Thaci né Bahtiri ricordino il pogrom del 17 marzo 2004. Quel giorno i nazionalisti albanesi misero a ferro e fuoco le enclavi serbe, uccidendo ventotto persone, distruggendo case, proprietà, monasteri e cimiteri, e costringendo alla fuga migliaia di persone di etnia non albanese. Le forze internazionali, quel giorno, si limitarono a proteggere goffamente la fuga degli aggrediti, mentre la comunità internazionale semplicemente guardava dall’altra parte, insieme ai riflettori dei grandi mass-media. Neanche la giustizia, tanto quella interna quanto quella internazionale, particolarmente attiva in altre occasioni, ritenne opportuno interessarsi della situazione

GLI SCONTRI DEL 2013 – Gli ultimi episodi di violenza tra i nazionalisti albanesi e le forze di sicurezza kosovare risalgono all’anno scorso, quando a Pristina i manifestanti assalirono il Parlamento per evitare il voto sull’accordo raggiunto a Bruxelles tra Pristina e Belgrado. Secondo i dimostranti, chiamati in piazza dal partito ultra-nazionalista Vetevendosje –Autodeterminazione – l’accordo avrebbe creato una regione autonoma serba in Kosovo, precisamente nella zona dove i serbi sono la maggioranza, minando la sovranità del Paese.

QUALE SOLUZIONE? – Mentre le diplomazie delle due parti cercano di normalizzare i loro rapporti attraverso accordi più o meno imposti dall’Unione Europea, i rapporti tra le due comunità rimangono tesi, con la paura che la situazione possa precipitare anche nel nord una volta che le forze internazionali usciranno di scena. Nel frattempo nelle enclavi, alcune delle quali circondate da filo spinato, i residenti, quelli che ancora non sono stati cacciati, vivono in una situazione di apartheid, terrorizzati dalla possibilità di nuovi attacchi. Nel 1999 i Paesi Natopensarono di tutelare i diritti della comunità albanese bombardando la Jugoslavia per settantotto giorni con bombe all’uranio impoverito, causa principale ancora oggi di tumori nella regione. È scontato dirlo, ma questa non può essere la soluzione: è necessario un dialogo che vada oltre i cerimoniali diplomatici, che rifiuti la demagogia e la violenza nazionalista, che allontani le strumentalizzazioni di taluni Stati imperialisti e della criminalità organizzata, che porti alla giustizia e al rispetto per quei popoli che su quella terra ci vivono da sempre. Solo in questo modo la parola convivenza uscirà dall’ipocrisia dei salotti upper class e tornerà finalmente per le strade, dov’era una volta in quelle terre.

                    

* http://www.wakeupnews.eu/

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