Abbiamo letto e ascoltato in questi mesi fiumi di parole sulla presenza in Ucraina, tra le file dei cosiddetti “filorussi”, di centinaia, migliaia di mercenari stranieri o di esponenti delle truppe speciali russe inviati da Putin per dare man forte alle milizie che si oppongono al regime golpista insediatosi a Kiev nel febbraio scorso. Fiumi di parole privi quasi sempre di conferme, se non per pochi casi riguardanti esponenti di formazioni nazionalistiche russe operanti in vari teatri di guerra – Cecenia, Daghestan, Ossezia – che sono ben poca cosa rispetto all’uso da parte del governo, ad esempio, di alcune centinaia di mercenari dell’ex Blackwater, ora Academi, arrivati proprio in concomitanza con il rovesciamento violento del presidente Yanukovich con un tempismo più che sospetto.
E poi abbiamo scoperto che a fianco dei soldati e dei miliziani agli ordini del governo golpista operavano esponenti dell’estrema destra di vari paesi occidentali, tra cui quel Francesco Fontana che i siti neofascisti italiani – con il sostegno dei sempre benevolenti media mainstream – hanno già trasformato in un’icona ‘eroica’. Ora un giornalista di destra, Fausto Biloslavo, ci fornisce qualche elemento in più di informazione e di riflessione su un teatro di guerra diventato punto di riferimento e palestra per formazioni neofasciste di tutta Europa. Depurato dei numerosi elementi propagandistici e idilliaci – l’eroismo disinteressato dei combattenti, la presunta dimensione romantica – il reportage pubblicato da Biloslavo è interessante, perché non volendo – oppure si – smentisce molti dei clichè che il racconto mainstream della guerra ‘civile’ ucraina ha finora fornito al grande pubblico. E mette in evidenza la grande, irrisolta contraddizione dei movimenti neofascisti di tutto il continente. Che combattono, anche armi in pugno, al servizio della strategia della Nato e dell’Unione Europea contro la Russia dichiarando però, con scarsa dose di credibilità, di essere alternativi a quelle stesse potenze imperialiste e ai loro ‘falsi valori’. Buona lettura
Uomini neri
La guerra civile in Ucraina sempre più sanguinosa e dimenticata schiera in prima linea un reparto fedele a Kiev, che arruola volontari europei provenienti da Italia, Svezia, Finlandia, paesi Baltici e Francia. Il battaglione Azov, accusato di simpatie naziste, sta combattendo con i suoi 250 uomini sul fronte orientale dell’Ucraina contro i ribelli filo russi. Una dozzina di volontari stranieri, che giurano di non venir pagati, hanno già prestato giuramento. Altri 24 stanno arrivando e su Facebook, il veterano francese della guerra in Croazia, Gaston Besson, ha lanciato da Kiev un appello all’arruolamento. Per giorni abbiamo seguito dalla base di Berdyansk, nell’est del paese, il battaglione Azov, che è sotto il controllo del ministero dell’Interno.
Fra i volontari europei, l’italiano Francesco F. ha lasciato la vita da manager per combattere al fianco degli ucraini contro i ribelli filo russi. Il cecchino svedese, Mikael Skillt, uno dei pochi a parlare a viso scoperto, ha una taglia dei separatisti sulla testa. E fra loro c’è pure un russo che vorrebbe abbattere il governo di Mosca. Per il colore della divisa e la provenienza dall’estrema destra ucraina ed europea sono conosciuti come “gli uomini neri”.
IL VOLONTARIO ITALIANO
L’omaccione appesantito dal giubbotto antiproiettile, passamontagna nero sul volto e occhiali scuri si piega su un ginocchio per puntare meglio il kalashnikov e tira il grilletto. Poi si rialza e cambia caricatore per continuare a sparare. Francesco, 53 anni, è l’italiano del battaglione Azov, che tutti chiamano “don” o “zio”.
“Sulle barricate di piazza Maidan mi sono ritrovato per caso affascinato da una rivoluzione di popolo – racconta il volontario con il basco nero – E dalle giovani centurie di Pravi sektor (formazione dell’estrema destra nazionalista ucraina nda) con gli scudi medievali assieme alle babucke che portavano il tè a 17 sotto zero o le ragazze indaffarate a riempire di benzina le bottiglie vuote per trasformarle in molotov”.
Negli anni settanta, a Pisa, aveva militato prima con Avanguardia nazionale e poi nel Fronte della gioventù, la costola giovanile del Movimento sociale italiano. Laureato in legge ha fatto il manager, prima di venir folgorato sulla via di Kiev.
Dopo l’annessione russa della Crimea e la ribellione filo Mosca nell’Ucraina orientale Francesco ha deciso di arruolarsi e combattere nella “Legione internazionale” che sta nascendo. “Nel momento del pericolo è scattata una molla. – spiega nella base degli uomini neri – Come diciamo in Italia era finita la commedia. Non era più un gioco. Cosa dovevo fare tornarmene a casa e abbandonare i camerati delle barricate di Maidan?”.
Il battesimo del fuoco è arrivato il 13 giugno con la battaglia di Mariupol, la città costiera sul mare di Azov conquistata dai ribelli: “Siamo andati avanti noi. Abbiamo preso una contraerea piazzandola ad alzo zero e polverizzato le barricate dei filo russi”. Un suo amico ucraino, nome di battaglia “legionario” è stato ferito. Fra i giovani ucraini del reparto, compresi alcuni ultras della Dynamo Kiev, c’è il mito dell’impero romano e dell’Europa delle crociate. Su pettorali e bicipiti degli “uomini neri” abbondano i tatuaggi di rune e celtiche. Le poche volte che escono dalla base in borghese per farsi un giro sono in coppia e si portano dietro le armi in una borsa da ginnastica.
“Siamo volontari. Non ci pagano neppure le sigarette – sottolinea l’italiano sul fronte dell’Est – Un’esperienza come questa la sognavo da tutta la vita. Vogliamo un’Ucraina unita, ma indipendente né con la Russia, né con la Nato o con i finti valori dell’Unione europea”.
IL RECLUTATORE
“Non sono un mercenario e nemmeno un agente segreto. Non mi nascondo. Mi definisco un rivoluzionario, idealista, che ha attraversato due guerre e tre insurrezioni in Croazia, Bosnia, Birmania, Laos, Suriname”. Parola di Gaston Besson, 46 anni, veterano della prima linea a diverse latitudini. Occhi verdi, capelli bianchi lo incontriamo in piazza Maidan, fra i resti delle barricate. Nato in Messico da genitori francesi, da giovane ha lasciato la scuola inseguendo l’avventura come cercatore d’oro in Colombia. Sua madre, che produce vino in Borgogna, gli ha intimato: o lavori nell’azienda di famiglia o vai sotto le armi. Besson ha scelto cinque anni nei paracadutisti e nelle forze speciali. Poi Parigi l’ha spedito non ufficialmente nel Sud Est Asiatico, dove ha ricevuto il battesimo del fuoco. In Croazia nella guerra contro i serbi è rimasto ferito tre volte. A Besson il termine non piace, ma è il reclutatore dei volontari europei che combattono contro i ribelli filo russi.
“Molti arrivano dai paesi del nord Europa come Svezia, Finlandia, Norvegia. Le richieste giungono anche dall’Italia – rivela il francese – I figli dei croati che hanno combattuto negli anni novanta vogliono venire a fare la loro parte”.
Nella base del battaglione Azov a Berdyansk c’è l’incredibile “Mike” con pizzetto e capelli biondi da vichingo. Ex tiratore scelto dell’esercito svedese è venuto a fare il cecchino in Ucraina, dopo aver visto le immagini dei sanguinosi scontri a Maidan. I filo russi gli hanno messo una taglia sulla testa di 5mila euro, cifra importante da queste parti. E lui fa spallucce: “Non li temo. Se vogliono vengano a prendermi”.
Nella Legione internazionale c’è pure Muran, un giovane russo che vorrebbe abbattere il sistema a Mosca. “Piuttosto che farmi prendere vivo mi faccio saltare in aria con una granata” giura il ragazzo mascherato che viene dai monti Urali.
Il veterano francese Besson rivela: “Ogni giorno ricevo decine di mail di richiesta, ma ne scarto il 75%. Chi vuole unirsi a noi deve acquistare il biglietto aereo con i propri soldi. E poi superare a Kiev un periodo iniziale di addestramento prima di essere mandati in prima linea. Non vogliamo fanatici, gente dal grilletto facile, drogati oppure ubriaconi. Abbiamo bisogno di idealisti senza paga, non di mercenari prezzolati”.
In Croazia, durante la guerra d’indipendenza del 1991, comandava 500 uomini provenienti da Francia, Inghilterra, Germania, Irlanda, Italia. Durante gli aspri combattimenti attorno a Vukovar, la Stalingrado croata, ha ricevuto l’ordine di evacuare i civili da un villaggio minacciato dall’avanzata serba. Quando i suoi uomini se ne stavano andando Besson ha sentito il pianto di una bambina. “L’ho cercata disperatamente mentre i miei urlavano che bisognava sloggiare – racconta il francese – Alla fine l’ho trovata nascosta, terrorizzata e portata in salvo”. Quella bambina aveva 6 anni. Nel 2007 Besson è tornato in Croazia sui luoghi dove ho combattuto. In un bar ha conosciuto Ivana, ben più giovane di lui, che è diventata sua moglie. I genitori raccontavano che era stata salvata da uno straniero durante la guerra. “Ma solo dopo un po’ di tempo abbiamo capito – racconta Besson – Ivana era la bambina che piangeva fra le macerie vicino a Vukovar”.
Fonte: http://www.ilgiornale.it/
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