E’ una vera e propria escalation quella che vede protagonista in questi giorni la Nato. Prima l’annuncio che la Gran Bretagna guiderà una missione militare forte di ben 10 mila uomini diretta a Kiev, poi l’invio di migliaia di soldati e mezzi nell’est Europa, poi ancora la decisione di aprire cinque nuove basi militari dell’Alleanza Atlantica in Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania. Il tutto dovrà essere sancito dal vertice dell’alleanza militare previsto in Galles il 4 e 5 settembre ma appare assai difficile che qualche partner di peso voglia o riesca a mettere i bastoni tra le ruote alle cancellerie decise a rimilitarizzare la frontiera con Mosca nonostante le promesse fatte alla Russia alla fine della cosiddetta ‘Guerra Fredda’.
A ben guardare la mappa del continente appare evidente che negli ultimi due decenni la Nato non ha fatto altro che espandersi ad est e a nord, circondando la Federazione Russa e annettendo paesi importanti ai suoi confini fino ad arrivare ora in Ucraina.
E ieri un nuovo annuncio più che bellicoso, mentre il nuovo presidente del consiglio dell’Unione Europea, il polacco – e antirusso – Donald Tusk evocava esplicitamente la possibilità di uno scontro di natura bellica con Mosca su scala continentale, al di là della pur già grave crisi in atto sull’Ucraina.
“La Nato è pronta a dispiegare una forza di reazione rapida nell’Europa Orientale per fronteggiare la crisi in Ucraina” ha detto il segretario generale uscente dell’alleanza, il danese Anders Fogh Rasmussen. Secondo il quale l’Alleanza Atlantica intende aumentare la sua “visibilità” nell’Europa dell’Est, con un piano che permetterà di dispiegare forze di reazione rapida e, se necessario, “colpire duro”. Secondo questo piano migliaia di soldati delle forze di terra, di mare e del cielo dei paesi membri, con l’appoggio delle forze speciali, dovranno avere la capacità di dispiegarsi “in pochi giorni” nella regione.
I capi di Stato e di governo della Nato dovrebbero adottare durante il summit di giovedì e venerdì un piano di reazione (il “Readiness Action Plan, RAP) in risposta a quella che viene descritta come la “minaccia russa” nei confronti non solo dell’Ucraina ma anche dei Paesi Baltici e della Polonia.
Nei giorni scorsi si era anche parlato della possibilità di dispiegare delle forze multinazionali tra i paesi Nato, ma a vincolare l’alleanza c’è l’Atto fondativo Nato-Russia firmato nel 1997, che prevede l’assenza di forze su base permanente nella regione. Basterà dichiarare che la presenza di truppe e basi ai confini con la Russia ha carattere temporaneo per ovviare al problema? D’altronde la forza di intervento rapido “necessiterà di installazioni sul territorio dei paesi Nato e di equipaggiamenti pre-posizionati, oltre che esperti in logistica e in comando e controllo. Si tratterà di una forza leggera, ma capace di colpire forte se si rivelerà necessario” ha spiegato lo stesso segretario generale della Nato.
Appare assai paradossale che le classi politiche europee – e le rispettive opinioni pubbliche – non si preoccupino affatto della reazione di Mosca e delle contromisure militari che la Russia sarà costretta ad adottare di fronte alla folle escalation iniziata da Bruxelles. Ed anzi, i pochi strumenti di informazione che lanciano l’allarme – come Contropiano – vengono tacciati di diffondere notizie allarmistiche.
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