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Ucraina, l’esercito di Kiev suona la ritirata

“Le milizie separatiste combattono troppo bene, devono esserci per forza dei militari russi”. E’ questo, per sommi capi, il ragionamento proposto ieri dall’oligarca ucraino e presidente Petro Poroshenko per giustificare la disfatta delle forze armate e dei battaglioni punitivi della Guardia Nazionale che negli ultimi dieci giorni non hanno fatto altro che incassare sconfitte nel corso dei combattimenti nelle città del Donbass.
Come a dire: si, è vero, stiamo perdendo, ma è perché combattiamo con i russi e non con i ‘ribelli’ del Donbass. E nell’attesa di un attacco contro Mariupol che le milizie popolari hanno affermato di non voler realizzare per evitare vittime civili la maggior parte degli intrepidi militari ucraini e soprattutto i battaglioni della Guardia Nazionale hanno abbandonato la città.

I russi ci sono, i russi non ci sono… finora ne abbiamo visti solo dieci – nella fattispecie paracadutisti – catturati dalle guardie di frontiera ucraine qualche giorno fa dopo che avevano sconfinato (per errore, si è giustificata Mosca) e subito scambiati con una sessantina di militari di Kiev che per sfuggire ai combattimenti erano riparati oltre il confine della Federazione Russa.
Per il resto, i famosi 4-5000 militari mandati da Putin insieme a centinaia di carri armati non si sono visti, anche se il sostegno di Mosca alle milizie delle Repubbliche Popolari nelle ultime settimane è cresciuto parecchio. Ma oltre alle armi russe i miliziani possono contare ultimamente su un vero e proprio arsenale sequestrato a circa un migliaio di soldati e ‘paramilitari’ ucraini che si sono arresi o sono stati catturati. Anche armi americane supermoderne.
Semmai il problema per le repubbliche di Donetsk e Lugansk è cosa farsene di un numero così alto di prigionieri, per la maggior parte volontari di estrema destra o sbandati arruolatisi nei battaglioni Azov, Donbass e Dnipro per mettere in riga ‘i russi’ e che negli ultimi giorni sono scappati a gambe levate, a volte abbandonando blindati e carriarmati rimasti senza carburante.
Anche nelle ultime 24 ore dal fronte sono arrivate notizie assai penose per gli oligarchi ucraini che non a caso continuano a invocare un intervento Nato immediato e risoluto.
Ieri l’esercito ucraino si è ritirato, oltre che da una decina di villaggi e importanti avamposti, anche dall’aeroporto di Lugansk – di cui però rimangono solo macerie – e dalla cittadina di Georgivka, sotto l’incalzante offensiva dei guerriglieri e il martellare della loro artiglieria. «A giudicare dalla precisione dei colpi d’artiglieria a sparare sono professionisti delle forze armate russe» ha accusato un portavoce dei comandi militari di Kiev. Scenario simile anche a Donetsk dove le milizie si sono riprese parte dell’aeroporto dopo un feroce combattimento togliendo ai nazionalisti una postazione dalla quale per mesi hanno bersagliato gli edifici della città con bombe e missili che hanno fatto strage di civili.
Ieri mattina il portavoce del Consiglio di Sicurezza di Kiev ha ammesso la perdita di sette militari ed oggi di altri 15, ma il bilancio delle vittime nell’esercito ucraino è assai più alto e il disfattismo comincia a serpeggiare già all’interno della truppa già demotivata e demoralizzata. E in un quadro del genere la notizia che il governo ucraino vuole ristabilire la leva obbligatoria potrebbe far crescere malumori e proteste e rivelarsi quindi un boomerang.
Per le forze armate di Kiev non va meglio sugli altri fronti: l’altro ieri un’imbarcazione della Guardia Costiera ucraina è stata colpita e messa fuori uso al largo della città portuale di Mariupol mentre ieri gli insorti sono riusciti a buttare giù un altro caccia di Kiev, un Sukhoi 27, vicino al al villaggio di Merezhki (Donetsk).

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