Un attacco in grande stile sulla città di Kunduz è stato effettuato stanotte da vari commando talebani. Non si conoscono ancora le strutture colpite, ma un primo lancio dell’agenzia Reuters riferisce di assalti partiti dagli ingressi di Khanabad, Chardara, Imam Sahed. Attualmente la città è isolata, l’aeroporto è chiuso; la polizia e l’esercito, che hanno chiesto rinforzi dalla capitale, intimano ai residenti di serrarsi nelle abitazioni. Tolo tv ha contabilizzato le vittime: sarebbero in totale 21, di cui 13 guerriglieri. Il governo parla, invece, di “venti terroristi uccisi”. L’azione è stata ad ampio raggio, studiata probabilmente per settimane, volta a mettere in mostra l’efficienza militare e l’arditezza dei miliziani utilizzati sul terreno. Finora nessun aereo s’è sollevato dalle basi Nato per bombardare la zona dov’è presente un alto numero di civili. In questi giorni il locale governatore Omer Safi è in visita in Tajikistan, anche il capo della sicurezza era fuori della provincia, notizie cui i talebani sicuramente hanno accesso tramite propri informatori infiltrati. Kunduz rappresenta un nodo strategico per le comunicazioni fra la rotta meridionale che conduce a Kabul e quella occidentale verso Mazar-e Sharif, mentre a nord insiste l’instabile confine tajiko.
I taliban considerano la città uno dei luoghi familiari della propria organizzazione perché qui il – da loro – mai dimenticato mullah Omar stabilì legami politico-amministrativi e teologico-culturali facendone una roccaforte pari alla nativa Kandahar. Alla fine del periodo del governo talebano la provincia aveva raddoppiato il numero degli abitanti che raggiungevano le 100.000 unità. Ogni componente politico-militare punta le proprie attenzioni su quest’area che è l’unica via d’accesso alle province di Badakhshan e Takhar, e un bacino di produzione di cereali, fra le poche zone agricole che resistono alla riconversione al papavero da oppio. Le cronache d’instabilità interna facevano registrare nella giornata di domenica l’esplosione di un’auto-bomba che ha fatto nove morti e decine di feriti nella provincia orientale di Paktika. Più a nord, a Nangarhar, s’era verificato un assalto a un check point controllato dalle Forze armate afghane al quale avrebbero preso parte non meno di 300 combattenti armati. Enormi le perdite degli assalitori che hanno lasciato sul terreno 60 miliziani. L’agguato è stato condotto dalle componenti fondamentaliste che si proclamano alleate dello Stato Islamico e usano tali azioni per propaganda, reclutamento e addestramento militare.
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