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Obama: altri 500 soldati in Iraq e bombardamenti anche in Siria

“Li colpiremo ovunque. Li distruggeremo. Non c’è alcun paradiso sicuro per chi minaccia l’America”. Ha scelto la vigilia della simbolica data dell’11 settembre per concedere più enfasi, Barack Obama, ad un discorso scialbo e trito trasmesso in diretta tv da numerose reti. Un intervento nel quale il presidente statunitense ha di fatto annunciato ufficialmente ciò che già nei giorni scorsi era in gran parte trapelato. Non solo l’intervento militare e i bombardamenti cresceranno di intensità nel nord dell’Iraq ma le operazioni militari verranno estese anche alla Siria. Quel paese che gli Usa avrebbero voluto invadere già negli anni scorsi per togliere di mezzo l’inviso governo di Bashar al Assad ma che hanno dovuto finora dovuto rinunciare ad attaccare. Perché l’Ue, a parte la Francia sempre in prima fila nelle avventure militariste, non voleva saperne; neanche i consueti alleati di Londra. E soprattutto perché la Russia e anche la Cina si misero di traverso non in maniera simbolica, ma concedendo armi sofisticate a Damasco e inviando le proprie navi da guerra nel Mediterraneo. Un messaggio più che esplicito che all’epoca la Casa Bianca non poté non considerare, costretta così a spegnere i motori dei caccia già pronti sulle piste di decollo delle basi e delle portaerei sparse per il Mediterraneo. 

A pochi anni di distanza, la guerra contro la Siria uscita dalla porta della competizione tra potenze rientra dalla finestra della coalizione internazionale contro lo ‘Stato Islamico’, alla quale si sono finora accodati vari paesi, compresi alcuni di quelli che i jihadisti, quando serviva, li hanno finanziati, armati e addestrati. Nonostante il governo siriano abbia già affermato che non accetterà operazioni militari straniere di nessun tipo sul proprio territorio senza il suo consenso e la sua supervisione, Obama ha informato che presto le postazioni islamiste in quel paese verranno prese di mira da continue ondate di bombardamenti. Poi, si sa, un bombardamento tira l’altro e basterà poco per passare dalle bombe sganciate sui jihadisti a quelle buttate sulle basi militari e sui convogli dell’esercito siriano.
Obama lo ha detto esplicitamente: “Non possiamo fidarci del regime di Assad che terrorizza il suo popolo”. Del resto la Casa Bianca ha chiarito che il suo strumento contro l’Isis e contro il governo sul terreno rimangono i ribelli cosiddetti moderati dell’Esercito Siriano Libero. Quelli che fino a pochi mesi o anni fa andavano a braccetto con l’allora “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, con Al Nusra e con un’altra miriade di formazioni terroristiche sunnite, ultimamente divenute ‘il nemico numero 1 dell’Occidente’.  
Contro l’ex Isis Obama, in calo verticale nei sondaggi di gradimento, ha di fatto indetto una guerra triennale, “prolungata e senza sosta”, le cui eventuali conseguenze negative potrebbero pagarle i suoi successori, democratici o repubblicani che siano, visto che il Premio Nobel per la Pace (!) tra due anni dovrà traslocare dalla Casa Bianca. “Non saranno coinvolte truppe americane sul suolo straniero” ci ha tenuto a specificare, per evitare ulteriore discredito tra gli americani. Mentendo, tanto per cambiare. Visto che ai 1100 soldati di Washington già presenti in Iraq se ne aggiungeranno presto altri 475, portando il totale a quasi 1600. E si parla delle truppe dichiarate, vai a sapere se ce ne sono altre variamente schierate e camuffate… Dice il Pentagono che il loro compito non è combattere gli integralisti – a quello ci dovrebbero pensare i peshmerga curdi, l’esercito iracheno e le milizie sciite – ma “proteggere” il personale diplomatico e gli interessi statunitensi nell’area. E’ credibile che si schierino 1600 militari con al seguito ogni sorta di armi per proteggere un’ambasciata e un consolato? Ovviamente no…
Intanto ieri sera Obama ha autorizzato 25 milioni di dollari destinati a un’immediata assistenza militare al governo iracheno e al governo regionale curdo in Iraq.
E al suo arrivo a Gedda dove incontrerà i capi di stato di una decina di paesi arabi che vuole coinvolgere nella ‘guerra contro il terrorismo’ il presidente degli Stati Uniti ha incassato il ‘si’ di Riad all’addestramento dei cosiddetti ‘ribelli moderati’ siriani in territorio saudita.

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