Menu

V come indipendenza. Diada storica a Barcellona

Una folla enorme, una vera e propria marea indipendentista. Sono state tra il milione e mezzo e i due milioni le persone che ieri hanno letteralmente invaso Barcellona per celebrare una Diada storica. Storica sotto vari profili. 

Intanto perché sono passati esattamente 300 anni da quando – era l’11 settembre 1714 – le truppe borboniche sconfissero l’esercito catalano al termine della Guerra di Successione e occuparono il ‘Principato’ ponendo fine alla sua indipendenza.
Storica perché il prossimo 9 novembre la maggioranza delle forze politiche catalane ha intenzione di votare per la creazione di uno Stato indipendente da Madrid, anche se il governo e le autorità spagnole hanno bollato l’eventuale referendum come illegale minacciando di impedirlo a qualsiasi costo. Esattamente il contrario di quanto avverrà il 18 settembre in Gran Bretagna, con il governo del Regno Unito impegnato a convincere gli scozzesi a non votare per l’indipendenza nel referendum previsto quel giorno.
Ovviamente l’imminenza della consultazione popolare che potrebbe regalare all’Europa un nuovo stato ha galvanizzato le realtà indipendentiste catalane che sperano in una vittoria del ‘si’ scozzese per poter imporre all’Unione Europea una esplicita volontà di autodeterminazione della popolazione.
Di storico la Diada – la festa nazionale catalana – di ieri ha avuto anche un contesto politico-sociale differente dalle edizioni precedenti per l’oggettivo spostamento a sinistra del movimento ‘sovranista’. Le ultime elezioni hanno già indicato un rafforzamento delle forze politiche nazionaliste di sinistra a svantaggio dei partiti ‘spagnolisti’ e della destra regionalista catalana, il cui leader storico, Jordi Pujol, è finito in queste settimane nel mirino di una maxi inchiesta per corruzione. Anche i più recenti sondaggi prefigurano che ERC – la Sinistra Repubblicana – si affermi come primo partito nonostante l’affermazione alla sua sinistra degli indipendentisti radicali della CUP, coalizione di orientamento marxista e libertario.
Un netto spostamento verso posizioni indipendentiste e antiliberiste dello scenario politico catalano – frutto soprattutto della spinta determinata dall’irruzione sulla scena della Assemblea Nazionale Catalana quattro anni fa e della forte crisi economica – che sta condizionando non poco il capo della Generalitat, il liberale Artus Mas. E che ha provocato una rottura storica in Convergència i Unió, la federazione dei due partiti dominanti della regione autonoma, ed espressione della borghesia locale. Da una parte, su posizioni apertamente nazionaliste, la Convergenza Democratica di Catalogna, di ispirazione liberal-democratica; dall’altra l’Unione Democratica di Catalogna, di ispirazione cristiano-democratica e rimasta su posizioni regionaliste e unioniste. 
Ma per la stampa di Madrid – oltre che per le frange indipendentiste più radicali – Artur Mas alla fine non consumerà lo strappo di fronte alla sentenza di incostituzionalità del referendum, ma indirà elezioni anticipate per rafforzare la sua maggioranza al Parlament e costringere Madrid ad accettare un aumento dell’autonomia, strategia che potrebbe vedere d’accordo anche la sezione socialista locale. Per la stampa di Barcellona, invece, non esiste un ‘piano B’ alla ‘via catalana’, ovvero al referendum. 
E’ anche per forzare il referendum che la Diada di ieri ha richiamato una massa enorme di partecipanti. Secondo la Guardia Urbana – la polizia municipale di Barcellona – sarebbero state circa 1 milione e 800 mila le persone arrivate da tutti i territori catalani ma anche da altre regioni dello Stato Spagnolo – Paesi Baschi, Galizia, Andalusia – per formare una enorme V che ha occupato 11 chilometri di viali. Una “V” che allude al “voto” referendario negato da Madrid, alla “Via Catalana all’indipendenza”, la gigantesca catena umana di un milione e mezzo di persone che l’anno scorso, sempre l’11 settembre, percorse tutta la Catalogna per 400 km dal confine Sud con la regione di Valencia (anch’essa parte del Paese Catalano dal punto di vista culturale e storico), a quello Nord nella Catalogna sotto amministrazione francese. 

La mobilitazione indetta dall’Assemblea Nazionale Catalana (ANC) e da Òmnium Cultural è scattata ufficialmente alle 17.14 di ieri pomeriggio, anche se in realtà alle 16.00 la Gran Via de les Cortes Catalanes e la Avinguda Diagonal erano già intasate di manifestanti e di Senyeres e Estelades, le due versioni della bandiera catalana, a formare la gigantesca V il cui vertice ha riempito Plaça de les Glòries Catalanes.
Nella piazza era sistemata una grande urna, costituita da 947 urne elettorali di cartone, per ognuno dei 947 municipi catalani, nella quale allo scoccare delle 17,14 un sedicenne ha infilato la scheda del voto, sulle note dell’inno catalano ‘Els Segadors’.
Uno lo slogan della giornata: “Il 9 novembre voteremo, il 9 novembre vinceremo”. Al termine di quella che è stata classificata da tutti i media come la manifestazione più partecipata della storia della Catalogna (anche se, secondo alcuni, in piazza c’era più gente l’11 settembre del 1977), la rappresentante dei promotori Muriel Casals ha avvertito il governo spagnolo e i nazionalisti di Madrid: “siamo pronti a votare, non abbiamo paura”. Stessi toni da parte di Carme Forcadell, la rappresentante dell’ANC che ha detto: “ci siamo riusciti, abbiamo riempito le strade e il 9 novembre riempiremo le urne”. E poi: “abbiamo trasformato il tricentenario della sconfitta nel primo anno della vittoria. Voteremo per la dignità, perché siamo cittadini e non sudditi”. Imponente la scenografia che ha potuto contare sull’esecuzione della canzone ‘Ara es l’hora’ da parte di 2000 coristi accompagnati al piano da Lluís Llach.
La grande V non è stata l’unica iniziativa messa in campo durante la giornata. In tutto il territorio catalano realtà politiche, sociali, sindacale e culturali hanno realizzato centinaia di mobilitazioni grandi e piccole, con le forze della sinistra indipendentista impegnate a contestare non solo la dittatura nazionalista spagnola e la negazione del diritto all’autodeterminazione, ma anche i diktat economici e politici dei governi. Di quello di Madrid in primo luogo, ma anche di Bruxelles e di Barcellona.
Non sono mancate, come da ‘tradizione’, le provocazioni dell’estrema destra fascista che in alcune occasioni ha convocato sparuti presidi per l’unità della Spagna a poche centinaia di metri dalle manifestazioni indipendentiste, godendo naturalmente della protezione delle forze di polizia. Ma almeno questa volta le forze dell’ordine hanno impedito che, come era accaduto lo scorso anno, i fascisti facessero irruzione nel ‘consolato’ della Generalitat a Madrid aggredendo i presenti.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *