La tregua siglata a Minsk il 5 settembre è stata tale solo in parte, e le violazioni sono state molteplici.
Prima episodiche, poi quando le truppe ucraine rafforzate dai nuovi invii di soldati e armi di Kiev hanno cominciato massicci attacchi contro le postazioni delle milizie popolari, riuscendo così in parte a recuperare terreno la situazione è rapidamente degenerata e il numero dei morti è ricominciato inevitabilmente a salire.
Solo nella giornata di ieri le vittime militari e civili dichiarate dalle parti sono state alcune decine, soprattutto a Donetsk, per la maggior parte cadute sotto i colpi dei bombardamenti dell’artiglieria di Kiev che ha ricominciato a martellare pesantemente alcuni quartieri della principale città del Donbass. Anche gli osservatori dell’Osce a Donetsk sono finiti sono il fuoco dei colpi di mortaio e sotto le raffiche delle mitragliatrici mentre pattugliavano la zona del mercato Putilovka – seriamente danneggiato dai bombardamenti – ed hanno subito abbandonato l’area.
Una camionetta di miliziani che accompagnava gli ispettori dell’organizzazione internazionale è invece stata colpita in pieno ed è saltata in aria; nessuno degli occupanti è sopravvissuto.
Durante il fine settimana era stato l’aeroporto della città industriale ad essere conteso nel corso di aspri combattimenti che hanno visto, almeno così sembra, le truppe di Kiev riuscire a respingere gli attacchi delle milizie della Repubblica Popolare. Mentre i battaglioni punitivi di estrema destra inquadrati nella Guardia Nazionale hanno attaccato numerose cittadine e villaggi controllati dalle milizie tra Gorlovka e Donetsk, nel tentativo di isolare di nuovo la città.
E questo mentre, paradossalmente, dopo qualche giorno di stallo le due parti hanno ripreso lo scambio di prigionieri, uno dei punti più importanti degli accordi di Minsk, con le autorità della Novorossija che accusano i golpisti ucraini di escludere dalle liste centinaia di combattenti delle milizie popolari finiti nelle prigioni di Kiev o chissà dove.
A Kiev intanto proseguono le lotte intestine tra i vari settori golpisti, e le ripetute sconfitte militari delle scorse settimane sono state alla base delle dimissioni del capo di stato maggiore Viktor Muzhenko, responsabile della cosiddetta ‘operazione antiterrorismo’ che il regime ha scatenato ormai mesi fa contro le popolazioni russofone delle regioni sud-orientali del paese. Muzhenko sarebbe stato di fatto rimosso perché accusato di aver gestito malamente le operazioni militari ad Ilovaisk, dove nelle scorse settimane alcune centinaia di soldati e di volontari ucraini erano stati accerchiati, uccisi o presi prigionieri dalle milizie popolari.
Arriva la Nato
Nel fine settimana è arrivato a Lugansk, forse la città più martoriata del Donbass, un secondo convoglio russo composto da circa 200 camion carichi di aiuti alimentari, medicinali, generatori e macchinari per la purificazione dell’acqua. Anche questa volta l’indisponibilità del regime di Kiev ha fatto sì che i tir bianchi passassero la frontiera senza i controlli della dogana ucraina e della Croce Rossa Internazionale. Ma a differenza di quanto avvenne per il primo convoglio in questa occasione la distribuzione degli aiuti alla popolazione stremata è iniziata immediatamente e i camion sono presto tornati in patria.
Il premier pro-tempore, in attesa delle elezioni del 26 ottobre, ha approfittato del Forum di Yalta – trasferito a Kiev visto che la Crimea è nel frattempo passata alla Federazione Russa – per accusare la Russia di voler “eliminare l’Ucraina come Stato indipendente” e Putin di “voler ricreare l’Unione Sovietica” (!). Arseni Iatseniuk attacca Mosca ma in realtà il suo obiettivo è il presidente ucraino Poroshenko, accusato di essere troppo accondiscendente nei confronti delle pressioni russe. Una polemica ideologica certo, ma soprattutto elettorale, visto che il giorno del voto parlamentare probabilmente i due saranno a capo di due coalizioni alleate ma concorrenti.
Ma mentre i leader golpisti fanno a gara a chi è più nazionalista e a chi difende meglio la patria dall’orso russo, nel paese stanno arrivando le truppe inviate da alcuni paesi della Nato per delle ‘esercitazioni’ tutt’altro che di routine visto lo scenario di guerra che spacca in due il paese. Nei giorni scorsi il sito dell’agenzia russa Vesti ha diffuso la notizia di 34 carri armati ‘Leopard’ con le insegne tedesche che sono penetrati in territorio ucraino provenienti dalla Polonia. Nel giro di poche ore numerose istantanee che raffiguravano la colonna di panzer di Berlino che sferragliavano presuntamente sulla direttrice Leopoli-Ternopol hanno invaso blog, siti internet e social network (anche se per ora tutte quelle che abbiamo visto risalgono al 2013 e sono state scattate in territorio tedesco).
Teoricamente i carri armati tedeschi sono arrivati a Kiev nell’ambito delle esercitazioni della Nato, che vedono la presenza di migliaia di soldati appartenenti a 15 paesi diversi. Ma il sospetto avanzato da numerosi analisti, oltre che dal fronte ‘anti Maidan’, è che molte delle armi e dei mezzi giunti in questi giorni per partecipare alle manovre non torneranno indietro, e verranno consegnati nelle mani dell’esercito ucraino. E magari nel paese resteranno anche ‘consiglieri militari’ europei e statunitensi a controllare il corretto utilizzo delle forniture al regime di Kiev, che ha estremo bisogno di rifornimenti visto che nell’ultimo mese ha perso oltre a numerosi caccia ed elicotteri anche centinaia di carri armati, blindati e lanciamissili, catturati dalle Autodifese Popolari o andati distrutti.
Già nei giorni scorsi i Paesi della Nato avevano iniziato la consegna di armi all’Ucraina, secondo quanto concordato al vertice dell’Alleanza atlantica di Newport, in Galles. Lo ha confermato lo stesso il ministro della Difesa di Kiev, Valery Galetei, in un’intervista alla tv ucraina. «Ho incontrato i ministri della Difesa dei principali paesi, che possono aiutarci, a porte chiuse – ha detto – Ci hanno ascoltato, hanno iniziato a inviarci armi». Già il 7 settembre il consigliere del presidente ucraino, l’ex ministro degli Interni Yuri Lutsenko aveva rivelato che alcuni paesi occidentali – Stati Uniti, Francia, Italia, Polonia e Norvegia – avevano acconsentito a inviare istruttori militari ed equipaggiamento alle Forze armate di Kiev che, secondo quanto rivelato da Lutsenko, sono a pezzi. Secondo l’ex ministro sarebbero migliaia i soldati e i volontari che di fronte all’aumento della pressione militare delle milizie ribelli hanno abbandonato le forze armate di Kiev e se ne sono tornati a casa o si sono dati alla macchia.
Praticamente tutti i governi chiamati in causa – quello Renzi compreso – avevano smentito le affermazioni dell’alto responsabile ucraino, che però alla luce di quanto sta avvenendo in questi giorni sono da considerare più che credibili, almeno in buona parte. Ad esempio nei giorni scorsi, approfittando della relativa calma determinata dal cessate il fuoco, in alcune località degli oblast di Donetsk e Lugansk sotto il loro controllo i militari di Kiev hanno portato lanciamissili «Larom» di produzione romena e «Teruel-3» di produzione spagnola, e carri armati di produzione britannica, evidentemente appena arrivati dagli sponsor del regime ucraino.
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