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Turchia: la polizia spara, strage di manifestanti curdi

E’ con inaudita violenza che le forze di sicurezza turche stanno reprimendo la dura protesta delle comunità curde del paese, esplosa contro il premier Davutoglu e il presidente Erdogan che, dopo aver finanziato, addestrato, armato e ospitato i miliziani jihadisti dell’Isis in questi giorni stanno permettendo alle bande di Al Baghdadi di spazzare via la resistenza di Kobane e del Rojava senza muovere un dito. Ed anzi, preparandosi ad invadere il nord della Siria con la scusa di combattere gli integralisti islamici, ma solo una volta che i suoi alleati del califfato abbiano fatto il ‘lavoro sporco’ contro le Unità di Difesa del Popolo (Ypg) e i combattenti del Pkk accorsi a difendere i propri compatrioti.

Secondo le notizie attualmente a disposizione sarebbero finora almeno diciotto i manifestanti curdi ammazzati dalla polizia e dalla gendarmeria di Ankara in diverse città del Kurdistan turco. Ovunque siano state organizzate manifestazioni di massa e pacifiche contro la complicità del regime liberal-islamista turco con i fondamentalisti sunniti dello Stato Islamico la polizia ha reagito attaccando le proteste con idranti, gas lacrimogeni e pallottole di gomma.
Ad Istanbul in particolar modo sono stati numerosi i feriti tra i manifestanti. Tra questi un avvocato, identificato come Tamer Dogan, è stato portato in ospedale nel quartiere asiatico di Kadikoy, dopo una carica della polizia contro i manifestanti antigovernativi. Dogan aveva tentato di negoziare con la polizia prima dell’attacco, ha raccontato un giornalista del quotidiano di sinistra Radikal, ma è stato colpito in testa dalla spoletta di un lacrimogeno mentre tentava di farsi da parte. Guerriglia urbana e notte di scontri anche in altri quartieri della metropoli sul Bosforo, come Bagcilar e Gazi. Si contano a centinaia gli arrestati e i feriti in tutto il paese.

Ma è nelle città curde che la violenza degli apparati repressivi si è manifestata senza freni: otto persone sono state uccise ad Amed (Diyarbakir), la più grande città curda nel sud-est del Paese di fatto occupata da plotoni di soldati accompagnati da mezzi blindati. Un giovane di 25 anni – Hakan Buksur – è stato ucciso da un proiettile a Vart, nella provincia di Mus; altri tre manifestanti sono caduti sotto il fuoco della polizia nella provincia di Siirt (l’ultimo, un 17enne che si chiamava Davut Nas), un altro nella vicina Batman, un altro ancora a Van; sulle altre vittime non si hanno ancora notizie precise.

Il regime turco ha imposto il coprifuoco in sei province del paese a maggioranza curda, compresa Amed, dove da giorni sono in atto dure proteste che hanno preso di mira edifici istituzionali, sedi del partito islamista Akp, caserme e commissariati, automobili e mezzi delle forze di sicurezza, banche ed altri interessi economici di Ankara. In decine di città del paese i manifestanti hanno eretto barricate incendiando suppellettili e pneumatici. In alcune località alla violenza della repressione alcuni gruppi di dimostranti con il volto coperto hanno risposto non solo con pietre e molotov, ma anche con colpi di arma da fuoco.

Significative le parole del ministro degli Interni, Efkan Ala, che ha accusato i manifestanti di “aver tradito il loro paese” e minacciato conseguenze “imprevedibili” nel caso di ulteriori proteste: “La violenza sarà affrontata con la violenza. Quest’attitudine irrazionale dovrebbe essere subito abbandonata e i manifestanti dovrebbero lasciare le strade”. 

In alcuni casi a dar man forte alle forze di sicurezza contro i manifestanti curdi e gli attivisti delle organizzazioni della sinistra turca scesi in piazza, si sono visti anche degli uomini armati in abiti civili, a volte esponenti di squadracce dell’Akp, a volte di movimenti islamisti più radicali, contigui di fatto allo Stato Islamico, come Hezbollah (che non c’entra nulla con l’omonimo movimento sciita libanese), a volte esponenti delle cosiddette ‘guardie di villaggio’, una sorta di polizia complementare agli ordini delle autorità locali.
Come ad Adana, dove quelli che alcuni media turchi chiamano sostenitori dell’Isis hanno aperto il fuoco contro i dimostranti.

Particolarmente veementi le proteste nelle province curde al confine con la Siria, come in quella di Mardin – e quindi con il Rojava curdo dall’altra parte della frontiera – dove da giorni migliaia di persone cercano inutilmente di passare dall’altro lato per dar man forte ai fratelli che si battono contro l’Isis ma scontrandosi con i militari turchi che impediscono il passaggio a suon di idranti e lacrimogeni, anche ai giornalisti occidentali.

Questa mattina la co-presidenza del Consiglio Esecutivo della KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) ha rilasciato una dichiarazione che saluta la resistenza di massa del popolo curdo nel Kurdistan settentrionale e in Europa con le proteste contro gli attacchi a Kobanê e invia le condoglianze alle famiglie dei patrioti e dei rivoluzionari che sono morti. La KCK ha chiesto al popolo di continuare la sua lotta: “La nostra gente deve continuare la loro giusta e legittima lotta fino a quando verrà ottenuta la vittoria. I milioni [di persone] non devono ritirarsi dalle strade e dalle zone in lotta e aumentare la lotta, nella consapevolezza che ogni passo indietro sarà pagato a caro prezzo nei giorni e nei mesi a venire.” 

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