Nuovo bombardamento Israeliano in territorio siriano. Secondo quanto affermato da fonti anonime del cosiddetto ‘Stato Ebraico’ sabato scorso i caccia con la stella di David hanno bombardato alcune postazioni militari in Siria, probabilmente per colpire e distruggere missili e armi destinate a Hezbollah, movimento di resistenza sciita libanese che combatte in patria e anche nel paese confinante contro le milizie islamiste. Non è la prima volta negli ultimi tre anni che le forze militari israeliane hanno compiuto attacchi in territorio siriano. L’ultima incursione aerea risale a marzo quando i caccia avevano preso di mira alcune postazioni militari governative nella regione di Quneitra, vicino al Golan occupato da Israele nel 1967.
Dopo i bombardamenti, le autorità siriane hanno informato che “il nemico israeliano ha attaccato la Siria prendendo come obiettivo due regioni (controllate da Damasco n.d.r.) nella provincia della capitale: il settore di Dimas, vicino al confine con il Libano, e quello dell’aeroporto internazionale” di Damasco. Il governo siriano ha denunciato “un’aggressione che dimostra il coinvolgimento diretto di Israele nel sostenere, insieme ad altri Paesi occidentali e ad altri Paesi della regione, il terrorismo in Siria”. Parole grosse? Macchè.
L’attacco è avvenuto proprio nel giorno in cui un dettagliato rapporto delle Nazioni Unite certifica che “Israele intrattiene da mesi costanti e regolari contatti con gruppi militanti di ribelli siriani che combattono contro il regime del presidente Bashar al-Assad”.
Secondo i capi delle Forze militari dell’Onu della missione Undof – di stanza al confine tra Siria e Israele e più volte obiettivo degli attacchi dei jihadisti del Fronte Al Nusra – i militari di Tel Aviv e gli integralisti islamici negli ultimi 18 mesi “hanno collaborato direttamente” permettendo il transito di persone, di feriti portati in Israele per essere curati e di “casse consegnate a combattenti” in territorio siriano. Dallo scorso anno circa 70 siriani sono stati ufficialmente curati negli ospedali israeliani, ma il governo ha sempre rifiutato di indicarne l’identità, perché evidentemente non si trattava di comuni rifugiati ma di miliziani islamisti.
Già nell’ottobre scorso, in un articolo pubblicato sul Washington Institute for Near East Policy, l’analista israeliano Ehud Yaari parlava degli stretti legami tra Tel Aviv e gruppi armati siriani anti-Damasco. Secondo Yaari, “siccome la regione ha campi di addestramento e un numero consistente di combattenti non islamisti e gruppi tribali armati nell’area del Lajaa, sarebbe necessario per Tel Aviv unire le sue forze militari a quelle statunitensi e giordane così da trasformare la zona in una base territoriale per addestrare i ribelli moderati”.
Che poi, si è visto, molto moderati non sono, visto che spesso pur facendo parte dell’Esl – Esercito Siriano Libero – sono molto vicini ideologicamente all’islamismo radicale di Al Nusra (Al Qaeda), del Fronte Islamico o dello Stato Islamico e che in alcuni casi sono addirittura passati armi e bagagli con gli integralisti.
Come se non bastasse esponenti di punta della cosiddetta opposizione siriana – come Kamal al-Labwani, fondatore della Coalizione Nazionale Siriana – hanno più volte affermato la disponibilità a cedere l’intero Golan a Israele in cambio del sostegno militare israeliano alle milizie ribelli siriane contro il governo di Damasco. Quella che all’inizio era una tregua non dichiarata, un patto di non aggressione tra Tel Aviv e milizie siriane dell’opposizione, negli ultimi tempi sembra essere diventata una collaborazione fattiva in nome del comune nemico.
Racconta Maurizio Molinari sul quotidiano La Stampa: “Sono mesi che al Ziv Medical Center di Zefat, a 30 chilometri dal confine siriano, a una dozzina da quello libanese (…), «arrivano i siriani». Il vicedirettore Calin Shapira, italiano impeccabile imparato studiando medicina a Bologna, dice: «Siamo arrivati già a 427 feriti siriani dal febbraio del 2013, circa 30 bambini, e non si vede la fine ancora». Miliziani, ribelli, gente che ha fatto la guerra al regime. I medici del Ziv Medical Center non fanno domande. Operano, cercano di evitare amputazioni, curano. E poi rispediscono oltre confine. Procedura top secret. Al momento sono ricoverati 12 siriani. Li incontriamo in una stanza, i letti in fila, le coperte a coprire gli arti inferiori tumefatti. «Vogliamo tornare in Siria», dicono. Là c’è la famiglia, la casa o quel che ne resta, e una sfida. «Torneremo a lottare contro Assad». Israele per i siriani è il nemico sionista da abbattere, sono cresciuti con questa idea. Ritrovarsi curato da medici ebrei è uno choc. I quattro, il più giovane avrà 20 anni, il più vecchio non arriva a 35, ridono e annuiscono quando Fares Issa, un cristiano maronita che fa da «ufficiale di collegamento» fra i siriani e i medici, racconta un aneddoto. A un ferito chiesero: cosa farai ora che torni in Siria? Lui rispose: combatterò Assad. E poi quando la guerra sarà finita? Combatterò Israele”.
Eppure un ufficiale dell’intelligence militare israeliana di stanza al confine con la Siria, intervistato da Patrizio Nissirio di AnsaMed racconta: “Sappiamo che queste milizie, che hanno acquisito grande esperienza militare in Siria, hanno armi sofisticate e che intendono procurarsene altre”. “Sono gruppi difficili da infiltrare, anche se non è impossibile. Loro ci preoccupano in questa fase più dell’Isis, il quale naturalmente è nemico di Israele, ma in questo momento ha altro a cui pensare”.
In realtà, secondo Ehud Yaari, è significativo che in tanti anni i jihadisti non abbiano mai attaccato l’esercito israeliano o i suoi interessi. “I quadri di al Nusra preferiscono mantenere una collaborazione libera dettata dal momento con altre fazioni ribelli. Così fa anche con Israele”. Di conseguenza – aggiungeva Yaari – lo stato ebraico non tenterà per ora di “distruggere la forza militare” degli affiliati al network jihadista.
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Anghelu Marras
Una guerra di doppiogiochisti e triplo-giochisti della politica. Conflitti e collaborazioni pure spigabili. Doppie e triple triangolazioni opportunamente fumose. Un “tutti contro tutti” atto a cancellare la “lotta di classe”. L’obiettivo immediato è far prevalere l’abietto militarismo in funzione del califfato o del Capitale sionista o dell’accordo imperialistico (non più tacito) UE-USA o tutte queste opzioni per determinare – a partire da quello scenario (c’è in ballo anche l’Ucraina) – l’isolamento russo-cinese il tutto con le evidenti manovre dei venditori di armi e tecnologie inglesi, francesi, italiani, tedeschi e, con loro, i rispettivi azionisti in previsione di una guerra “mondiale” a “bassa intensità”.
RICONQUISTARE LE MASSE ALLA LOTTA DI CLASSE: questa dovrebbe essere la risposta!
cterrass
Grazie dell’articolo.
Mi piacerebbe avere la fonte dell’informazione che scrivete :
« Secondo i capi delle Forze militari dell’Onu della missione Undof… i militari di Tel Aviv e gli integralisti islamici negli ultimi 18 mesi “hanno collaborato direttamente” »
Grazie mille