Doveva aprirsi all’insegna di una nuova e più duratura tregua la settimana iniziata oggi. Ma è notizia di queste ore che almeno cinque civili sono stati uccisi nelle regioni orientali dell’Ucraina, trasformate in fronte di guerra dalla cosiddetta ‘operazione antiterrorismo’ scatenata a primavera dal nuovo regime di Kiev. Secondo quanto riferito dalle autorità municipali, 3 civili sono stati uccisi e 10 sono rimasti feriti a Donetsk mentre a Lugansk sarebbero rimasti uccisi altri 2 civili nel villaggio di Kriakivka in seguito a un colpo di artiglieria che ha colpito una casa.
Ci eravamo permessi nei giorni scorsi, visto l’andazzo, di non dare spazio su Contropiano alle notizie che parlavano del raggiungimento di una nuova tregua nel corso di colloqui tra Kiev, Russia e Repubbliche Popolari. Non fosse altro perché quella precedente, dichiarata il 5 di settembre scorso, non è mai stata rispettata e da quando è stata indetta –e mai interrotta ufficialmente, per quanto ne sappiamo – sono state parecchie centinaia i civili e i militari morti e feriti nei bombardamenti delle città o negli scontri tra esercito e milizie.
A propiziare il raggiungimento di un nuovo cessate il fuoco, oltre che la situazione disperata dal punto di vista umanitario nelle regioni assediate, la nulla capacità delle forze armate governative di fiaccare la resistenza del Donbass e l’arrivo di un inverne che da quelle parti può essere assai rigido.
Stando alle informazioni diffuse dai media internazionali nei giorni scorsi, dopo che il presidente Petro Poroshenko aveva annunciato una tregua che dovrebbe cominciare il prossimo 9 dicembre, anche “i separatisti” avevano teso la mano. Solo ieri si affermava che una nuova sessione dei negoziati di pace per risolvere il conflitto ucraino avrebbe dovuto aprirsi a Misnk il 9 dicembre prossimo. Ma il condizionale è d’obbligo visto che si continua a sparare e a morire. E due accordi per un cessate il fuoco nella zona dell’aeroporto di Donetsk annunciati uno dopo l’altro nel giro di meno di 24 ore si sono rivelati nei giorni scorsi lettera morta, visto che i combattimenti sono ripresi appena mezz’ora dopo il previsto stop delle ostilità.
Al nuovo regime ucraino, legittimato solo parzialmente dalle elezioni parlamentari di fine ottobre, il raggiungimento di una tregua solida nell’est farebbe anche comodo, anche se le ultime misure volte allo strangolamento economico del Donbass non creano certo l’atmosfera giusta.
Il problema è che all’interno della nuova maggioranza di governo, formata da cinque diversi partiti di destra ed estrema destra, le opinioni in proposito sono assai diverse. Perché tutti sono filoccidentali, certo, ma alcuni sono inclini al soddisfacimento degli interessi statunitensi ed altri pendono più verso quelli di Frau Merkel e di Bruxelles. A dividere i soci di maggioranza, poi, ci sono gli interessi e le mire di ognuno degli oligarchi a capo di partiti, battaglioni punitivi, frazioni di forze politiche, comuni, ministeri ed enti, rappresentati in parlamento o meno che siano.
Il che rende davvero difficili le cose al ‘re del cioccolato’ e agli esponenti più vicini all’Unione Europea e alla sua esigenza di normalizzazione della situazione in Ucraina. E pure le relazioni tra Bruxelles e Russia nonostante qualche dichiarazione reciprocamente conciliante non accennano certo a migliorare, anzi.
Il tutto si riflette all’interno degli equilibri precari del governo Yatseniuk bis, appena nato ma già scosso da lotte intestine e malumori. L’esecutivo che prevede posti ministeriali di primo piano per tre stranieri targati Nato – una statunitense, un lituano e un giorgiano – è stato varato con meno voti rispetto ai 302 di cui teoricamente godrebbe la maggioranza parlamentare che lo sostiene.
L’alleanza tra i due maggiori partiti della coalizione, il Fronte Popolare di Yatseniuk e il Blocco del presidente Petro Poroshenko, non sembra molto salda mentre i tre partiti minori – Samopomich di Andrei Sadovy, il Partito radicale di Oleg Lyashko e Patria di Yulia Tymoshenko – spingono contro i primi due e ognuno contro tutti gli altri.
Per l’insieme del governo Yatseniuk II hanno votato solo 288 deputati, 43 in meno rispetto a quello golpista varato a fine febbraio e comunque con 14 voti in meno rispetto ai 302 teoricamente a disposizione. E quando si è votato sui singoli ministri si è arrivati anche a quota 228, quasi un centinaio in meno e al limite della maggioranza assoluta (226).
Nel governo rimangono al loro posto il generale Stepan Poltorak alla Difesa, Arsen Avakov, alleato stretto di Yatseniuk, agli Interni e Pavel Petrenko, alla Giustizia per il Fronte popolare. Nuovi volti filopresidenziali sono invece quelli di Vladimir Demcishin all’Energia e di Yuri Stez al nuovo ministero dell’Informazione politica, la cui creazione, contestata anche all’interno della stessa maggioranza, è stata difesa dal capo della frazione parlamentare del BBP Yuri Lutsenko che ha affermato che si tratterà di “qualcosa di diverso da un ministero per la propaganda di stile sovietico”. Forse il modello che ha in mente è piuttosto quello del Minculpop di Mussoliniana memoria.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa