L’inchiesta realizzata nei giorni scorsi dal quotidiano britannico The Guardian è implacabile. Ogni due giorni un operaio – sarebbe meglio dire schiavo, viste le condizioni in cui è costretta la manodopera straniera nel piccolo ma ricco emirato – nepalese rimane ucciso a causa di incidenti nella costruzione delle infrastrutture per i Mondiali di Calcio previsti in Qatar nel 2022. Numeri, chiarisce il giornale di Londra, che non tengono conto dei lavoratori provenienti da altri paesi – come India, Sri Lanka, Bangladesh – tenendo conto dei quali il conteggio delle vittime raddoppierebbe portando i decessi ad una media di uno al giorno.
La denuncia non è nuova, e più volte negli ultimi due anni associazioni internazionali, federazioni sindacali e media hanno denunciato le terribili condizioni imposte agli operai che costruiscono stadi e altre strutture. Il Comitato Organizzatore del Qatar aveva solennemente garantito un rapido miglioramento degli standard di lavoro ma stando all’inchiesta realizzata dal Guardian non è cambiato proprio nulla, anzi. Gli immigrati continuano a lavorare anche per 12 ore al giorno ad una temperatura di 50 gradi, senza poter realizzare pause e senza poter contare su quei minimi standard di sicurezza in grado di poter abbassare il numero di incidenti e la mortalità.
Per mostrare al mondo che le ‘riforme’ varate dalla petromanarchia hanno ottenuto risultati basta trasformare le morti sul lavoro in morti a causa di incidenti non meglio determinati, truccando così le statistiche. Di fatto l’unico provvedimento preso dal governo dell’emirato è stato quello di rivedere – ma solo parzialmente – il sistema del “kalafa“, che concede al datore di lavoro la possibilità di negare al dipendente straniero il visto d’uscita dal Qatar anche per tutta la durata del contratto. Di fatto il lavoratore straniero può rimanere imprigionato nell’emirato e in balia del padrone anche per 5 anni, sempre se sopravvive abbastanza. Una sorte che secondo le statistiche coinvolge circa 400 mila nepalesi e quasi il doppio di lavoratori provenienti da altri paesi asiatici, per un totale di circa 1,4 milioni di operai.
Secondo un rapporto pubblicato dal Guardian ben 964 lavoratori provenienti da Nepal, Bangladesh e India sono morti mentre lavoravano in Qatar tra il 2012 e il 2013. E quest’anno un rapporto del Consiglio per la promozione dell’impiego all’estero nepalese parla di 157 cittadini di Kathmandù rimasti uccisi in Qatar nei primi undici mesi del 2014, solo 34 dei quali classificati dal regime di Doha come incidenti sul lavoro.
Con buona pace della Fifa, la Federazione Internazionale delle Federazioni di Calcio – in particolare del suo presidente Joseph Blatter – che nonostante gli appelli giunti da più parti a far pressione sul governo del Qatar fino a revocare a Doha i mondiali del 2022 per affidarli a un altro paese ha scaricato ogni responsabilità ribadendo la discutibile scelta nonostante le roventi polemiche sull’assegnazione poco trasparente della competizione all’emirato, secondo alcuni frutto di una sostanziosa elargizione di mazzette da parte del Qatar. Per non parlare delle più volte denunciate violenze sessuali nei confronti delle lavoratrici straniere.
Ma come si dice in questi casi ‘The show must go on’ e c’è da giurare che il sangue versato sui mondiali di calcio del 2022 non impedirà alle istituzioni internazionali e ai grandi media di celebrare la competizione sportiva soddisfacendo così le smanie da potenza regionale degli emiri del Qatar.
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