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Lo Yemen nel caos, a un passo dall’esplosione

Alcune migliaia di persone sono scese in strada oggi nella capitale dello Yemen, Sana’a, per protestare contro il movimento sciita degli Houthi, che nei giorni scorsi ha occupato militarmente la città e assediato i palazzi del potere costringendo alle dimissioni il governo e il presidente. 

I manifestanti – per lo più sunniti – si sono radunati a piazza Taguir (Cambiamento), di fronte all’università della capitale, scandendo slogan contro le milizie sciite ma anche contro le organizzazioni legate ad Al Qaeda. Sui cartelli esposti della folla c’erano scritte come “No al colpo di Stato’, “Non ci governeranno milizie armate”, “Abbiamo bisogno di pace”. Nel mirino della protesta c’é finito anche l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, defenestrato nel 2011 dopo 33 anni al potere, che lo stesso Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha accusato di aver fornito un certo aiuto agli Houthi nei mesi scorsi.
Gruppo armato appartenente allo zaidismo, branca dello sciismo che nel nord ha le sue roccaforti e che conta un terzo dei 25 milioni di yemeniti, gli Houthi sono guidati dal 33enne Abdel Malek Huthi, figlio del fondatore del gruppo. Per otto anni (2004-2012) hanno combattuto l’ex presidente Saleh, anch’egli zaidita, che però ora li sostiene dopo esser stato deposto due anni fa sull’onda delle proteste popolari.
I manifestanti erano inizialmente intenzionati a dirigersi verso il Palazzo Repubblicano, la residenza del premier Khalid Bahah, dileguatosi da mercoledì in una località sconosciuta. Poi, però, hanno modificato il percorso del corteo per dirigersi verso la residenza del presidente dimissionario, Abd-Rabbu Mansour Hadi, per chiedergli di tornare al potere e di imporre “l’autorità dello Stato” sugli Houthi. I miliziani sciiti che pattugliano le strade della capitale e la polizia non hanno ostacolato la protesta anche se prima che la marcia iniziasse si sono verificati alcuni lievi scontri con i manifestanti.
Intanto mentre il presidente Hadi rimane di fatto recluso nella sua residenza, assediata dagli Houthi, per domani é attesa la riunione in seduta straordinaria del Parlamento yemenita per discutere delle sue dimissioni (che devono comunque essere confermate dall’assemblea legislativa perché siano effettive). In base alla Costituzione yemenita, il presidente del Parlamento, Yahya al-Rai, che arriva dal Congresso Generale del Popolo, il partito dell’ex dittatore Saleh, dovrebbe assumere l’interim in attesa della convocazione delle elezioni anticipate.
Intanto il paese è nel caos e rischia letteralmente di andare in pezzi a causa della dura reazione delle province a maggioranza sunnita contro la nuova situazione imposta dalla rivolta degli sciiti.
Le quattro province dello Yemen del Sud – Stato indipendente fino al 1990 – hanno annunciato ieri che rifiuteranno qualsiasi ordine in arrivo dalla capitale Sana’a alle unità militari e alle forze di sicurezza locale. Il Comitato per gli affari militari delle province di Aden, la principale città del sud, e di Lahj, Daleh e Abyan, hanno comunicato di aver preso la decisione dopo l’annuncio delle dimissioni da parte del presidente Hadi. Il Comitato ha inoltre annunciato la messa in stato d’allerta delle unità militari e delle forze dell’ordine, facendo appello anche alla popolazione civile affinché vigili e protegga gli edifici pubblici e i simboli dello Stato. Le province dello Yemen del Sud a maggioranza sunnita contestano l’accordo raggiunto prima della rinuncia fra il governo – sostenuto dall’Arabia Saudita e dal Consiglio di cooperazione del Golfo che ne è controllato – e i ribelli sciiti.
Nel sud operano anche le milizie di “Al Qaeda nella Penisola arabica” (Aqpa), che ha rivendicato la strage nella sede del settimanale satirico francese Charlie Hebdo che però in questi giorni non ha compiuto attacchi contro le forze di sicurezza e non ha approfittato del caos e del vuoto di potere creato dalla rivolta degli Houthi.
Gli Stati Uniti si dicono molto preoccupati per la situazione nello Yemen e a fronte degli ultimi sviluppi hanno affermato che manterranno aperta la loro ambasciata a Sana’a ma riducendo la presenza del proprio personale: “Continuiamo a sostenere una transizione pacifica. Abbiamo esortato le parti e continuiamo ad esortarle a rispettare la pace e l’accordo di partenariato nazionale” ha detto un portavoce della Casa Bianca che ha anche annunciato la sospensione di tutte le operazioni militari finora condotte dai droni e dai caccia statunitensi contro Al Qaeda nel sud del paese. Si tratta forse di un implicito via libera, si chiedono in molti, ai fondamentalisti sunniti affinché si scaglino contro le milizie sciite che hanno rimosso il presidente e il governo sostenuti finora da Washington oltre che dalle petromonarchie del golfo? 

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