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Grecia: dopo la Troika e il Memorandum…la troika e il memorandum?

In attesa della seduta dell’Eurogruppo in programma domani a Bruxelles, la seconda in pochi giorni, è in atto in queste ore un fitto lavoro di pretrattativa tra i tecnici greci e i funzionari delle tre istituzioni che compongono la Troika. Il nome – ‘troika’ – è stato dismesso per volontà del nuovo esecutivo ellenico scaturito dalle elezioni del 25 gennaio ma di fatto è con Bce, Commissione Europea e Fondo Monetario che gli emissari di Tsipras stanno tentando di arrivare ad un accordo che riduca l’impatto delle misure di austerity imposte da Bruxelles e che in sei anni hanno prodotto risultati disastrosi.
I rappresentanti della troika hanno trascorso la giornata di ieri a Bruxelles mettendo a confronto il memorandum di aggiustamento, in scadenza a fine mese, con il programma del nuovo esecutivo guidato da Syriza per vedere se ci sono misure simili o vicine che possano fornire una comune base di discussione. Tra questa sera e domani mattina i rappresentanti delle tre istituzioni informeranno i direttori dei Ministeri del Tesoro della zona euro.
“Entro lunedì ci aspettiamo le differenze tra i piani, solo così possiamo capire le distanze e vedere i limiti del negoziato”, spiegano alcune fonti di Bruxelles. Per il presidente dell’Eurogruppo, l’intransigente Jeroen Dijsselbloem, le opzioni per Atene, dato lo stato oggettivamente disastroso della sua economia, sono “molto limitate”. “E’ molto complicato. Puoi spendere soldi solo quando li hai. La Grecia vuole tanto ma ha veramente pochi soldi per farlo. Questo è un vero problema per i greci” ha sottolineato parlando all’Aia. Il piano di aiuti o Memorandum con l’Ue “non è la Bibbia, le parole si possono cambiare, purché l’ideologia resti la stessa”, spiegano fonti dell’Eurogruppo secondo le quali nel tempo alcune modifiche sono già state fatte, ad esempio nei piani di privatizzazione del patrimonio pubblico ellenico. Ma l’Unione Europea non vuole rinunciare al controllo delle politiche economiche di Atene: “quello che è chiaro è che se togli qualcosa devi rimpiazzarla con altro che abbia lo stesso impatto sul bilancio” e non puoi quindi sostituire, ad esempio, “una misura ad alto impatto sui conti con qualcosa che regola l’indipendenza dell’ufficio di statistica greco”.
Assai sprezzante, ma anche rivelatore delle difficoltà di Tsipras e dei suoi ministri, la battuta di un altro falco, questa volta esponente del governo tedesco. Il quale ha detto “Anche a Berlino va bene smettere di chiamare Troika la Troika”, posto che la Grecia non potrà esimersi dal confrontarsi con le istituzioni che ne fanno parte: Commissione europea, Bce e Fmi.  “In futuro – ha detto il portavoce del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, Martin Jaeger – le tre istituzioni continueranno a fare il loro lavoro”. Jaeger ha anche sostenuto che per la Germania l’unica strada percorribile è quella di una proroga dell’attuale programma di aiuti in cambio di riforme, accogliendo in parte alcune delle richieste di Atene ma legandole come in passato alla realizzazione di cosiddette riforme da parte dell’esecutivo ellenico. E sembra anche, da alcune fonti, che potrebbe essere accolta la richiesta di Tsipras sul cosiddetto ‘prestito ponte’: per queste fonti non sarebbe tassativa una proroga del programma attuale che scade a fine mese – come finora affermato dall’Eurogruppo – ma a Bruxelles non escludono che se ne possa concordare uno nuovo con caratteristiche nuove.

Syriza ha vinto le elezioni promettendo la fine dell’austerità e di stracciare il memorandum, cioè le intese tra i predecessori di Tsipras e la Troika che hanno portato alcune centinaia di miliardi di euro nelle casse di Atene in cambio dello smantellamento dello stato sociale, di privatizzazioni, di licenziamenti di massa, di tagli a salari e pensioni, dell’aumento dell’età pensionabile e di un’altra lunga serie di misure che hanno ridotto in povertà milioni di greci. Ma Varoufakis ha ammesso durante un suo intervento nei giorni scorsi che il governo di cui fa parte “non vuole né stracciare il memorandum né applicarlo nella sua interezza”, tanto che in cambio di nuovi prestiti Tsipras si è impegnato a implementare almeno il 70% delle misure previste dall’accordo Samaras-Troika in cambio della tranche di prestiti in scadenza a fine febbraio. Prestiti di cui la Grecia ha bisogno, per non finire in bancarotta, visto che le casse dello stato sono quasi vuote. Il neopremier ha però invocato la concessione da parte dell’Eurogruppo di una manovra ponte non sottoposta a una contropartita come in passato e 10 miliardi di Euro di sconto in attesa che nell’estate il suo governo possa invertire la rotta e risollevare l’economia del paese.
Il governo greco chiede anche la possibilità di alzare di 8 miliardi il tetto di emissione di bond a tre mesi, oggi fissato a 15 miliardi di euro, e già esaurito. Sul punto però la troika non è per ora d’accordo, ed anzi la Bce ha cessato alcuni giorni fa di accettare bond greci. Come già scritto, sulla questione del debito il ministro delle Finanze greco Varoufakis chiede di trasformare i prestiti bilaterali e dell’Efsf, oggi Esm, in bond legati alla crescita del Pil greco, e di modificare i bond in mano alla Bce trasformandoli in obbligazioni perpetue, ma anche qui le distanze tra le parti sono lontane.
Insomma, i paesi dell’Eurozona non sono del tutto chiusi alle richieste greche, ma insistono sul fatto che le regole del gioco non possono essere violate o cambiate in maniera radicale. E a riaffermare l’importanza delle regole non è solo “l’Europa tedesca”, ma anche il governo socialista francese: «bisogna rispettare il cambiamento in Grecia, e anche rispettare le regole europee» ha detto il ministro delle Finanze di Parigi Michel Sapin.
A Bruxelles si ragiona sulla possibile riduzione dell’obbligo di avanzo primario (5% annuo, mentre Tsipras dopo averlo escluso ha indicato un massimo dell’1.5%) e la revisione di alcuni vincoli. Ma come detto Juncker ha ricordato giovedì che le misure che Tsipras taglierà dovranno essere sostituite da altre che portino agli stessi risultati di budget.
Nelle ultime ore i poteri forti europei continuano ad alternare lievi aperture a prese di posizione che escludono ogni concessione. Ad esempio il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, secondo cui Atene è «ancora lontana da un accordo con l’Unione». Pure il numero uno dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, tra una dichiarazione e l’altra si è definito «molto pessimista» sull’esito della riunione dei ministri economici prevista per domani.
“Il memorandum, il programma cosiddetto di salvataggio così come lo conoscete, che ci ha fatto male e ha provocato una situazione catastrofica, potete dimenticarvelo. Non esiste più, né tantomeno esiste la troika”, ha insistito qualche giorno fa Alexis Tsipras.
Ma da parte loro i mercati venerdì erano euforici – la Borsa di Atene ha chiuso a + 5.6% – soddisfatti in particolare dal fatto che i tecnici del governo ellenico abbiano ripreso a trattare con le istituzioni «precedentemente note come la Troika».
Secondo il Sole 24 Ore, “i negoziatori della Troika ammettono che il tentativo è quello di trovare una soluzione che permetta al governo Tsipras di salvare la faccia e ai creditori di essere rassicurati sulla presenza di un quadro di riferimento. In altre parole, portare a compimento il Memorandum di aggiustamento, senza in effetti abbandonarlo al suo destino”.
I cosiddetti ‘mercati’ sono ottimisti sul fatto che alla fine Atene dovrà sostanzialmente chinare la testa, pressata da una situazione economica tragica e dalla mancanza di alternative concrete (anche se rimane sempre in ballo il ricorso a eventuali prestiti russi).
Giovedì scorso la pubblicazione dei dati sulle entrate fiscali di gennaio in Grecia hanno evidenziato un buco di un miliardo di euro rispetto alle previsioni (un divario addirittura del 23% del totale). Venerdì, poi, è giunto l’annuncio di una contrazione dell’economia dello 0,2% nel quarto trimestre del 2014, dopo nove mesi di relativa crescita dell’economia greca e a fronte di una previsione di aumento del Pil dello 0.4%. Come se non bastasse, secondo varie fonti i capitali disinvestiti dalle banche greche in pochi mesi hanno raggiunto quota 21 miliardi di euro. Se l’Eurogruppo di domani dovesse ‘andare male’ la fuga di capitali potrebbe subire una improvvisa impennata.
Anche il dato sociale continua ad essere drammatico: a novembre la disoccupazione era pari al 25.8%, identica al mese precedente. La situazione è migliorata solo in riferimento al novembre del 2013, quando la disoccupazione aveva raggiunto quota 27.7%; il recupero, in buona parte, è dovuto all’alto tasso di emigrazione dei greci che vanno a cercare fortuna all’estero e abbassano così il totale delle persone in cerca di occupazione.
Senza un consistente prestito da parte della troika, si chiedono i mercati, e in assenza di altre risorse – Tsipras ha promesso che non toccherà l’enorme patrimonio della Chiesa ortodossa o le spropositate spese militari del paese – dove troverà il nuovo governo i finanziamenti da destinare alla riduzione dell’emergenza sociale? Con quali soldi ripristinerà condizioni degne nella sanità e nella scuola massacrate da sei anni di austerity? Con quali rimpiazzerà gli introiti finora derivanti dall’odiata tassa sugli immobili? Con quali potrà garantire, come promesso, l’elettricità gratuita e i buoni pasto a centinaia di migliaia di famiglie bisognose o restituire la tredicesima mensilità alle pensioni minime?
Il governo parla di una patrimoniale sulle grandi proprietà immobiliari e di un aumento della lotta all’evasione fiscale che comprenda anche un provvedimento fiscale che possa tassare i capitali detenuti all’estero dagli oligarchi greci anche attraverso accordi bilaterali con una serie di paesi.
Ma sembra ben poca cosa rispetto all’enormità della situazione economica e comunque si tratta di misure il cui esito non è affatto garantito.
Non può non tornarci in mente quanto affermato qualche giorno fa dall’economista statunitense Paul Krugman a proposito della situazione greca. Rivolgendosi a Tsipras e invitandolo a “ignorare i richiami ad essere responsabile”, il Premio Nobel si è chiesto: “Forse il problema dei piani di Syriza è che non sono abbastanza radicali ma non è chiaro che cosa un governo greco possa fare più di così, a meno che non sia pronto a uscire dall’euro”.
Sembra non sia elegante autocitarsi. Ma Contropiano, prima delle elezioni, si era chiesto se sarebbe stato possibile per il nuovo governo ellenico eliminare l’austerity e il controllo della troika sul paese senza puntare a rompere la gabbia politica, economica e istituzionale rappresentata dall’Unione Europea che quelle politiche ha generato, imposto e gestito. Le due domande, allo stato, rimangono senza risposta…

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1 Commento


  • paolo dp

    domani vedremo la pazzia dei criminali!
    sanno di aver strozzato la grecia ma vogliono continuare le stesse politiche, anche se imbellettate, perchè sanno che altrimenti tutto salterebbe.
    un esempio chiaro è il ttp a cui tengono tanto i neo-liberisti e la grecia ha detto ora di no, tra malcelati tremori dei capitalistii.
    saranno proprio i capitalisti a portare la grecia a una scelta rivoluzionaria, non syriza e nemmeno il kke, stupidamente ortodosso.
    la mossa successiva dei capitalisti, sfortunatamente, sarà organizzare un golpe.
    chi sarà più lungimirante e rivoluzionario?

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