Storiografi e cronisti del jihadismo afghano e dei Warlords con la maiuscola presenti negli annali d’una guerra pluritrentennale devono aggiornare i taccuini. Da qualche mese l’Isis insinua i suoi progetti anche nel cuore dell’Asia per erodere, convertire, trasformare, cooptare. E fare “campagna acquisti” di combattenti. Una formidabile concorrenza all’antico strapotere degli storici signori della guerra modello Sayyaf e Dostum, da tempo integrati nel sistema dell’affarismo armato che s’è piazzato nelle istituzioni con cariche onorifiche. Il Califfato va oltre e vuole tutto. Getta il seme, in quei feudi chiamate province afghane, nelle intoccabili lande delle aree tribali, sfidando gli stessi talebani cui ruba miliziani e leader. E’ già accaduto dalla scorsa estate nel nord Waziristan dove l’esercito pakistano conduce azioni repressive a tuttotondo. Lì si sono viste azioni ribelli sotto la sigla Daesh, tanto che è ormai ufficiale il tentativo di convergenza fra una parte dei clan talebani (Shura di Quetta) e le leadership di Kabul e Islamabad che avvicinano i turbanti per un interesse quasi comune. A fine gennaio lo Stato Islamico ha anche annunciato la propria espansione nella regione del Khorasan, parte nord orientale dell’Iran che confina col Turkmenistan. E’ la sua prima diffusione fuori da nazioni islamiche del mondo arabo.
Uno degli esempi più evidenti delle acquisizioni del Daesh in Afghanistan è venuto a mancare di recente. Si trattava d’un leader significativo per i trascorsi militanti: il comandante Rauf Khadem, colpito mortalmente da un drone statunitense, prima vittima di peso dopo l’annunciato ridimensionamento della missione Isaf. Khadem era stato a lungo un capo militare talebano, sia nell’epoca del regime dei turbanti sia nella seguente fase della resistenza all’invasione Nato. Catturato era finito prigioniero a Guantanamo Bay per poi essere sorprendentemente rilasciato nel 2007 e tornare sui campi di battaglia afghani. Ma nel rientro mostrava tendenze salafite abbracciate durante i contatti avuti con altri detenuti nel supercarcere della Cia a Cuba. Per questo era caduto in disgrazia fra i vecchi compagni d’arme che non accettavano la trasformazione. Tutti i sunniti afghani, compresi i Taliban, considerano la scuola hanafita la fonte della propria dottrina e disdegnano altre componenti come le nuove posizioni islamiche di Khadem. Lui s’era orientato verso il jihadismo marchiato dallo Stato Islamico, creava una cellula nella provincia di Helmand, e meditava d’allargarsi a Nawzad, Baghran fino ad alcune aree della federazione delle aree tribali. La sua uccisione ha solo fermato l’ampliamento dei rapporti fra una parte dei Taliban e il Daesh, non l’ha interrotto.
Ci sono anche sospetti che qualche uomo dell’Isis l’abbia venduto ai killer, ma nulla è certo. Analisti sostengono che non è ancora chiaro come l’Is risponderà alla perdita. Khadem non è affatto un caso isolato, altri emuli sono già pronti. Fra essi Saeed Khan, conosciuto col nome di mullah Orakzai e proveniente dall’ononima area tribale, viene considerato come uno dei più sanguinari e motivati nuovi signori della guerra dell’Asia centrale. Khan s’è formato nella scuola clericale Mulana Shabit, quindi nella Darululoom Islamia Hangue. Dopo aver combattuto contro le truppe Nato e aver assistito al trapasso di alcuni capi talebani delle Fata, dallo scorso ottobre si presenta nella veste di leader dei nuovi gruppi vicini al califfo Al-Baghdadi nelle zone di confine fra Afghanistan e Pakistan, con possibili progetti anche verso l’India e il Bangladesh. Un dispaccio dell’Isis lo nomina unilateralmente governatore e alcuni comandanti dei Tehreek-e Taliban voltando le spalle alle varie Shure gli hanno giurato fedeltà. Altre defezioni di comandanti si registrano nella provincia di Farah dove i fratelli Abdul Maleq e Abdul Razek si sono orientati anch’essi verso il salafismo, confermando come la galassia dell’insorgenza sia in subbuglio e stia rinnovando gerarchie e orientamenti conflittuali.
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