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Grecia. Syriza al bivio, Manolis Glezos rompe l’incanto

Per il leader di Syriza e capo del governo greco scaturito dalle elezioni del 25 gennaio, la bozza di accordo raggiunta tra Atene e l’Eurogruppo nei giorni scorsi equivaleva ad aver “vinto una battaglia, anche se non la guerra”.
Ma gli analisti più onesti non avevano potuto notare che il governo ellenico aveva rinunciato a molte, a troppe delle sue richieste nei confronti dei 18 paesi dell’Unione Europea, della Banca Centrale, della Commissione, del Fondo Monetario. Ad esempio accettando che l’odiato Memorandum, invece di essere cancellato e stracciato come chiedeva e continua a chiedere il popolo greco, sia prolungato di 4 mesi. In cambio di misure che il governo greco si è impegnato a implementare, che non saranno forse quelle imposte ai precedenti esecutivi in cambio dei prestiti, ma che comunque dovranno ricevere l’approvazione dei ‘creditori’ e dovranno mirare a una riduzione della spesa pubblica o almeno a non sforare i bilanci dello stato.
Difficile vedere in un compromesso del genere una vittoria del popolo greco. E a pochi era sfuggito l’artificio di smettere di chiamare Troika le tre istituzioni con le quali Tsipras e Varoufakis hanno nei fatti continuato a trattare in questo mese, anche se “ottenendo” dalla controparte la rinuncia all’utilizzo dell’odiata locuzione. Niente più di un contentino semantico.
Certo Atene ha ottenuto dalla controparte che l’avanzo primario del 2015 possa essere inferiore al 3% imposto al precedente governo, ma ogni eventuale nuova misura che impatti sul programma concordato – sul Memorandum – dovrà essere discussa con «le istituzioni», come da qualche giorno è stata ribattezzata la Troika. E nonostante abbia tirato i remi in barca su molti punti Tsipras non ha ottenuto neanche l’auspicato sostegno da parte della versione non tedesca dell’Unione Europea, Francia e Italia in primo luogo. Dal resto dei Pigs non solo non sono venute parole di solidarietà nei confronti della martoriata Grecia, ma da Spagna e Portogallo non sono mancate accuse e richiami all’ordine anche più intransigenti di quelli proferiti da Berlino.

Syriza è un partito nato solo pochi anni fa da una coalizione assai eterogenea, dove convivono correnti e organizzazioni che vanno dalla socialdemocrazia fino al comunismo rivoluzionario, passando per socialisti, eurocomunisti, ecologisti, libertari. I segni di insofferenza nei confronti della svolta moderata impressa da Tsipras e dai suoi all’identità, all’ideologia e al programma del partito erano stati espliciti anche prima che il programma di Salonicco presentato nel settembre scorso chiarisse che Syriza abbandonava alcuni dei principi e dei punti sui quali aveva dato battaglia durante la sua breve ma intensa storia. Poi però era arrivata la vittoria elettorale, ottenuta secondo la maggioranza congressuale del partito anche grazie ad una moderazione e ad una garanzia di “responsabilità” che avrebbero attirato consensi moderati altrimenti non intercettabili. Per la prima volta una forza apertamente di sinistra e con un programma anti-austerity ha vinto le elezioni in un paese europeo, diffondendo speranza in tutto il continente.
La formazione del governo insieme alla destra dei Greci Indipendenti e poi la scelta di eleggere un ex ministro degli Interni di Nuova Democrazia alla presidenza della Repubblica hanno presto riacceso le polemiche e le animosità all’interno degli organi di direzione e della base del partito. Finché il dietrofront rispetto ad alcune delle promesse fatte in questi anni e sancite da una campagna elettorale portata avanti come una sorta di contratto con gli elettori – “voi ci votate e ci permettete di governare, noi stracciamo il Memorandum e cacciamo la Troika” – sono state sostituite da compromessi sempre più evidenti.
Paradossalmente a trasformare il mugugno della sinistra interna e di parte della base in denuncia e in un’accusa che rasenta quella del ‘tradimento’ è stato l’ex partigiano Manolis Glezos, il novantunenne e sanguigno europarlamentare che rappresenta una sorta di padre nobile per le diverse aree della sinistra ellenica. Non è la prima volta che Glezos, ‘moderato’ politicamente ma non certo avvezzo alla diplomazia e ai toni concilianti, spara a zero nei confronti della direzione del partito. Ma questa volta le sue parole, inequivocabili, potrebbero scatenare un effetto domino.
Ha scritto ieri da Bruxelles colui che simbolicamente viene ritenuto l’iniziatore della resistenza greca contro gli invasori nazi-fascisti che avevano invaso la Grecia e che si è incaricato della redazione del documento che chiede a Berlino il pagamento di 153 miliardi di euro di danni di guerra mai versati:

“Se ribattezzi la Troika in ‘Istituzioni’, i Memorandum in ‘Accordo’ e i Creditori in ‘Partners’ è come se chiami la carne con il nome del pesce, senza cambiare la situazione precedente.
Nessuno può cambiare, però, l’esito del voto del popolo greco alle elezioni del 25 gennaio 2015. Il popolo ha votato per quello che ha promesso Syriza: abolire il regime di austerità, che non è solo una strategia dell’oligarchia della Germania e degli altri paesi creditori dell’UE, ma anche dell’oligarchia greca. Abolire i Memorandum e la Troika, cancellare tutte le leggi di austerità. Il giorno dopo le elezioni, abolire con una legge la Troika e le sue conseguenze. È passato un mese e questo annuncio non è ancora diventato un atto concreto. E’ un peccato e anche una vergogna. Da parte mia chiedo scusa al popolo greco perché ho contribuito ad alimentare questa illusione. Prima che il male prosegua, prima che sia troppo tardi, dobbiamo reagire.
Com­pa­gni, amici e soste­ni­tori di Syriza, a tutti i livelli delle diverse orga­niz­za­zioni, dobbiamo deci­dere con riu­nioni straor­di­na­rie se accet­tare o no que­sta situazione. 
Alcuni sosten­gono che in un nego­ziato occorra rinunciare a qualcosa.
Ma, primo, tra oppres­sori e oppressi non può esserci alcun com­pro­messo, tra lo schiavo e l’occupante l’unica solu­zione è la libertà. Ma anche se accet­tas­simo que­sta assur­dità, le con­ces­sioni già fatte dai pre­ce­denti governi in ter­mini di disoc­cu­pa­zione, auste­rità, povertà, sui­cidi sono già andate oltre ogni limite”. 

Parole dure, fuori da ogni diplomazia ed etichetta; la richiesta di assemblee straordinarie che mettono in discussione l’autorità e il prestigio della direzione e di Alexis Tsipras in persona. Che ieri ha risposto tentando di sminuire la portata delle obiezioni di Glezos. “È probabile che Manolis Glezos non sia ben informato della dura e faticosa trattativa che è ancora in corso. Trattativa per la riconquista della dignità del popolo greco” ha fatto sapere il capo del governo in una dichiarazione che molti nella base di Syriza hanno letto come offensiva e irrispettosa. Glezos è sì molto anziano, ma ancora lucido e battagliero e in questi ultimi mesi non si è certo risparmiato. Le foto che lo ritraggono ancora lo scorso anno mentre è in prima fila nelle manifestazioni e nei tafferugli davanti al parlamento – spintonato dalla polizia in assetto antisommossa o intossicato dai lacrimogeni CS – parlano da sole. Qualcuno maliziosamente suggerisce alla stampa che Glezos si sia scatenato dopo il rifiuto da parte della direzione del partito di far eleggere alla presidenza un uomo della destra, e che la reazione di colui che nel 1941 si arrampicò sull’Acropoli per ammainare la bandiera degli occupanti nazisti sia quindi giustificata dal risentimento e dalla delusione. Può darsi.
Ma il messaggio di Glezos mette il dito nella piaga. La piaga è una debolezza intrinseca di Syriza di cui sono coscienti non solo le correnti più radicali di quel partito, ma anche le controparti, le istituzioni politiche, economiche e finanziarie dell’Unione Europea che ricattano Atene: Syriza è andata alle trattative con un gigante chiarendo fin dall’inizio che non avrebbe mai rotto, che non avrebbe mai oltrepassato i limiti, che non avrebbe puntato su soluzioni unilaterali. Tsipras ha ribadito fino alla noia che il nuovo governo avrebbe rispettato le regole, che la Grecia non vuole uscire dall’Euro, che le nazionalizzazioni non sono in programma, e a quel punto anche le minacce di affidarsi a partner esterni all’eurozona – come la Russia o la Cina – sono apparse alla controparte come boutade, come provocazioni lontane dall’essere all’ordine del giorno.
In fondo la contraddizione di Syriza è anche quella di Manolis Glezos. Essere intimamente europeisti e al tempo stesso essere obbligati da una situazione disastrosa a un braccio di ferro nei confronti di qualcosa che non si è veramente disposti a mettere in discussione.
Se è vero che in una situazione come quella attuale anche un programma coerentemente riformista appare come rivoluzionario, è altrettanto vero che non si può non essere radicali, “rivoluzionari”, anche solo per applicare un programma in fin dei conti riformista. 
Stando alla stampa ellenica, anche se non negli stessi termini o con la stessa veemenza, sono molti i dirigenti e i militanti di Syriza che non condividono i termini dell’accordo con l’Eurogruppo e che nelle ultime ore stanno uscendo allo scoperto, rompendo un incanto durato neanche un mese. Il vice ministro del welfare Dimitris Stratouli avrebbe bollato le scelte di Tsipras come “un passo indietro rispetto alle promesse elettorali”, così come il leader della ‘Corrente di Sinistra’ – che rappresenta il 30% del partito – e Ministro dell’Energia e dello Sviluppo Economico, Panagiotis Lafazanis, che si era già fatto sentire contro la scelta di eleggere il conservatore Prokopis Pavlopoulos alla presidenza della Repubblica e che nelle ultime ore ha ricordato che  “le linee rosse tracciate prima delle trattative non possono essere superate, se no non si chiamerebbero rosse”. Rompendo la disciplina di partito mercoledì scorso la deputata di Syriza Gianna Gaitani si è assentata al momento dell’elezione del nuovo presidente. 

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