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Medio Oriente. Iran e Turchia entrano nel “Grande Gioco”

Per gli appassionati di geopolitica, il quadro in movimento in tutto Medio Oriente sta diventando un rompicapo pieno di variabili e di repentini cambiamenti.

Sullo sfondo della guerra sporca con cui le milizie dello Stato Islamico stanno giocando la partita per il consolidamento territoriale (soprattutto a detrimento della Siria) e l’aumento della propria influenza, si segnalano due fatti importanti: in Yemen la “sperimentazione sul campo” di quella che la newsletter Affari Internazionali definisce la “Nato araba”, più a est il sorprendente viaggio del premier turco Erdogan a Teheran, capitale di una potenza regionale come l’Iran fino a ieri ritenuta dallo stesso Erdogan “un fastidio per noi, per l’Arabia Saudita ed altri paesi del Golfo”.

La visita del leader turco nel vicino Iran appena sdoganato dall’accordo con il “Gruppo 5+1” sul nucleare (che ha fatto imbufalire Israele e Arabia Saudita), è stata preceduta da una visita-lampo ad Ankara del principe saudita Nayef Al Saud. manifestazione evidente delle preoccupazioni saudite per un eventuale riavvicinamento della Turchia a Teheran.

Non è un mistero che in questi anni – quelli caratterizzati dalle Primavere arabe – la Turchia e l’Arabia Saudita siano state in aperta competizione tra loro per egemonizzarne gli effetti. Operazione riuscita alla Turchia sull’Egitto dei Fratelli Musulmani ma inibita dal rovesciamento del governo islamico ad opera del gen. Al Sisi sostenuto invece dall’Arabia Saudita. Scenario analogo a quanto avvenuto in Libia, dove però la frantumazione del potere centrale non ha consentito nè ad Ankara nè a Riad di consolidare le proprie posizioni.

Così mentre l’Arabia Saudita rompeva con il network sunnita dei Fratelli Musulmani, la Turchia se ne era assunta la paternità in nome della solidarietà islamica, utilizzando Gaza ed Hamas come testimoni di una ritrovata attività regionale che l’ha portata ai ferri corti con l’ex alleato di ferro israeliano.

Giocare la partita iraniana in questa fase, per la Turchia è un aperto affronto all’Arabia Saudita che invece sta operando per ricostruire un network sunnita apertamente schierato contro l’Iran e la sua influenza sulle consistenti comunità sciite non solo nello Yemen ma anche nelle petromonarchie del Golfo.

Certo i legami economici tra Iran e Turchia sono consistenti e soprattutto destinati a crescere ora che Teheran vedrà diminuire le sanzioni imposte dall’Onu, dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Già adesso il giro d’affari è di 14 miliardi di dollari con l’obiettivo di portarli a 30 miliardi entro il 2016. La Turchia ha in mente di diventare lo sbocco sul Mediterraneo per il gas e il petrolio iraniano, magari giocando sul prezzo in competizione con la Russia che ha lo stesso problema dell’Iran. Insomma Ankara si vede come lo snodo strategico naturale per gli idrocarburi provenienti dall’est, in alternativa ai progetti statunitensi (vedi l’olodeotto Nabucco) potendo contare sulla propria posizione geografica, su alleanze a largo spettro (è anche membro della Nato), su tassi di crescita economica significativi e su un potenziale militare rilevante. Tutti ingredienti decisivi per consolidarla ed estenderla come potenza regionale di primo piano. A ben guardare però sono ambizioni e potenzialità che sono ben attive anche per l’Iran

In secondo luogo Turchia e Iran, hanno in comune un altro fattore: sono due potenze regionali islamiche ma “non arabe”. Certo la prima è sunnita e la seconda è sciita, e la prima ha cercato di destabilizzare apertamente la Siria storica alleata dell’Iran. Ma, come è noto, in Medio Oriente i nemici di ieri possono diventare molto rapidamente gli alleati di oggi (un pò come per l’Italia nelle due guerre mondiali, ndr).

Da queste ambizioni appare seriamente preoccupata l’Arabia Saudita e il suo network sunnita di piccole petromonarchie del Golfo, oggi solidamente alleate con il gigante arabo: l’Egitto di Al Sisi.

Nella guerra civile in Yemen questo network sta sperimentando, anche militarmente, la sua ambizione di agire come polo islamico unificato, riscoprendo quella Lega Araba messa in soffitta – almeno dal punto di vista militare – sin dalla guerra del Kippur nel 1973 contro Israele. Anzi oggi convergente con Israele nella comune ostilità verso l’Iran e forse anche verso la Turchia.

Una parte importante delle ambizioni del “polo islamico” si gioca oggi nelle sabbie e nelle montagne dello Yemen, in uno scontro che solo apparentemente è tra sciiti e sunniti, ma la seconda partita si giocherà sicuramente in Libia dove l’Egitto preme per un intervento militare diretto contro il governo insediatosi a Tripoli – ostile a quello insediato a Tobruk e filo-egiziano.

In mezzo a questo Grande Gioco tra le potenze regionali mediorientali, tutte islamiche ma non tutte arabe, si inserisce la guerra sporca dello Stato Islamico. Un nemico contro cui, fino ad oggi, gli unici a non aver sparato un solo colpo e a non aver ricevuto danni ma benefici sono proprio Arabia Saudita e…. Israele.

 

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