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Il G7 ai piedi degli Usa. Ancora sanzioni alla Russia

Il G7 ha prorogato le sanzioni contro la Russia: saranno annullate solo in caso di piena applicazione degli accordi di Minsk, la cui inosservanza o la cui aperta violazione, si deve leggere nemmeno tanto velatamente, sarebbe colpa del Cremlino. Una colpa, come ci raccontano al TG2, che ha portato alla “esclusione della Russia dal G7 dopo la guerra in Ucraina”: intenda chi può!
Così, al termine delle bevute di birra bavarese, Obama ha dichiarato che le sanzioni antirusse verranno prorogate oltre il loro attuale termine, finché nell’Ucraina orientale non si raggiungerà l’armistizio. E le artiglierie da 122 mm e i razzi Uragan di Kiev sono lì a ridosso della linea di demarcazione a colpire Donetsk e Gorlovka, sparando a zero sugli accordi di Minsk e su ogni speranza di armistizio. Ma a Kiev “ci sono uomini d’onore”, direbbe oggi Marco Antonio, ai funerali non di Cesare, bensì della pace nel Donbass, così che le sanzioni devono colpire Mosca, anche se, per ora, non verranno inasprite, come aveva chiesto qualcuno tra i 7. “Negli ultimi giorni abbiamo visto che le forze russe continuano ad agire nell’Ucraina orientale” ha assicurato Obama per quanti non avevano visto, “violando l’integrità sovrana del paese e la sua unità territoriale”, così che “ognuno dei membri del G7 continua a mantenere le sanzioni contro la Russia per la sua aggressione contro l’Ucraina”.
In verità, tra quanti non avevano visto, c’erano tutti coloro che avevano registrato la repentina e massiccia offensiva delle truppe di Kiev contro Krasnogorovka e Marjnka, iniziata lo scorso 3 giugno, per l’appunto a ridosso del vertice bavarese. Ma a Kiev ci sono “uomini d’onore” e così le sanzioni per la violazione degli accordi di Minsk – Porošenko in persona aveva informato i “padrini” occidentali dell’avvicinamento delle artiglierie alla linea di demarcazione, contro quegli accordi – colpiscono Mosca. E la stessa Angela Merkel, che alla vigilia del summit in birreria, aveva parlato dell’esigenza di coinvolgere la Russia sulla questione ucraina, ha ritenuto di dover dire, forse per affrettare tale coinvolgimento, che “siamo pronti a inasprire le sanzioni, se la situazione lo renderà necessario”, certa che, per tale necessità (finché non diverrà soffocante per l’Europa stessa) un Porošenko e un Turčinov del momento saranno comunque a portata di mano.
Naturalmente, non manca chi si stupisce, soprattutto tra i media nostrani, se dal Ministero degli esteri di Mosca si annuncia che la Russia si riserva il diritto di reagire ai passi poco amichevoli intrapresi dall’amministrazione Obama per il congelamento dei contatti, per le sanzioni dirette a indebolire l’economia russa e a inasprirne la situazione politica interna. “Il ritorno a una condizione sostenibile dei rapporti tra Russia e USA è possibile solo con la fine degli atteggiamenti e delle azioni ostili di Washington nei confronti di Mosca”: questo il nocciolo del rapporto di Piazza Smolenskaja (dove ha sede il MID, il Ministero degli esteri russo) dal titolo “Sui risultati principali dell’attività del Ministero per il 2014 e i compiti per il medio periodo”, una sintesi del quale è stata riportata ieri dall’agenzia Tass. Al tempo stesso, il rapporto del MID afferma che la Russia continua a essere pronta a un dialogo costruttivo con l’Unione Europea, nell’interesse del progetto di “Integrazione dell’integrazione”, nella prospettiva di uno spazio economico e umanitario unico, dall’Atlantico all’Oceano pacifico. Per quanto riguarda il rafforzamento del potenziale militare della Nato e la realizzazione del suo sistema globale di scudo antimissilistico, la Russia si riserva il diritto ad assumere misure a garanzia della propria sicurezza.
Ciò vale anche in relazione alla sempre più estesa presenza Nato in Europa orientale, nei Paesi baltici, nei bacini del mar Nero e del Baltico.
Puntuale, proprio dal Baltico, è arrivato l’ammonimento lanciato all’Occidente dal Ministro degli esteri lituano, Linas Linkevičius, a non perseguire la normalizzazione dei rapporti con la Russia.
D’altronde, sul fronte dei rapporti coi “Grandi” dell’Occidente, dal Cremlino era intervenuto già ieri il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov, il quale, a proposito della “discussione: hanno invitato o no, inviteranno o meno Putin” al G7, ho ripetuto che “il Presidente si sta concentrando maggiormente su altri formati, che rispecchiano in modo più effettivo la reale disposizione delle forze nello spazio economico mondiale”. Come il G20, per essere espliciti, sottolinea la Tass.
In questa cornice globale, il maggior “uomo d’onore” a Kiev, il presidente Porošenko, ha sottoscritto ieri cinque leggi che sanciscono la rottura degli accordi di collaborazione militare sottoscritti nel 1995 tra Ucraina e Russia; tra questi, il più importante e foriero di conseguenze, è quello sul transito attraverso l’Ucraina del contingente russo di pace e del suo approvvigionamento e rifornimento in Transnistria, nella zona cuscinetto tra questa e la Moldavia.
Guarda caso, proprio in contem
poranea con la linea di “fermezza atlantica” inaugurata dal neogovernatore Nato-ucraino di Odessa, il ricercato ex presidente georgiano Mikhail Saakašvili. Appena nominato nella carica – e ribattezzato con nazionalità ucraina – da Porošenko, mentre girava per le strade di quella che fu la capitale dell’emigrazione bianca postrivoluzionaria a farsi fotografare rubando gelati ai bambini, ha prontamente “smascherato” tre presunti potenziali attentatori, provenienti dalla Transnistria, pronti a turbare la quiete cittadina a suon di bombe e pistole. Peccato, che subito, la stessa polizia di Odessa abbia pubblicamente ammesso trattarsi di tre moldavi, giunti a Odessa passando per la Transnistria, arrivati in città a regolare conti con dei banditi locali. Il leader della Repubblica di Transnistria – staccatasi dalla Moldavia all’inizio degli anni ’90 e mai riconosciuta a livello internazionale – Evghenij Ševčuk, ha dichiarato che il suo paese non costituisce una minaccia per l’Ucraina; “siamo preoccupati per le dichiarazioni di alcune personalità ufficiali ucraine, secondo cui esiste una minaccia di guerra da parte della Transnistria. Noi non abbiamo mai progettato e non progettiamo azioni aggressive nei confronti dei nostri vicini”, siano essi a Kišinëv o a Kiev, ha detto Ševčuk. Nonostante ciò, proprio Kiev ha iniziato quest’anno, secondo l’agenzia Novorossija, a rafforzare la parte di frontiera con la Moldavia che passa per la Transnistria, scavando fossati anticarro, erigendo baluardi e allestendo posti di blocco fortificati.
Dunque, se Kiev, direttamente o su istruzione dei suoi sponsor occidentali, sembra esplicitamente già pensare a un nuovo fronte di operazioni, alle frontiere sudoccidentali, non stupisce che nemmeno le proposte avanzate in sede Osce dalle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, per cambiamenti nella costituzione ucraina che prevedano uno status speciale (organi di autogoverno locale) per le regioni del Donbass, all’interno e quale parte integrante dell’Ucraina, vengano prese in seria considerazione. I compiti assegnati agli “uomini d’onore” di Kiev dai patron euro-atlantici sembrano essere altri: se le armi rischiano di tacere, qualcuno deve incaricarsi di tenere asciutte le polveri.

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