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Grecia. Negoziato fallito, ultimo tentativo all’Eurogruppo

Ancora fumata nera, mentre il tempo scorre e il default della Grecia si avvicina. Neanche il minaccioso ritiro del Fondo Monetario Internazionale dal tavolo della trattativa ha spinto il governo di Atene a cedere sulle “linee rosse” tracciate fin dall’inizio: nessun taglio alle pensioni, ripristino della contrattazione collettiva nazionale, mantenimento di livelli decenti di assistenza sanitaria, ecc.

I punti di “ragionevole compromesso” erano stati idicati con chiarezza, ma l’unico su cui le distanze erano minime riguardava l’avanzo primario (la differenza che resta tra entrate e spese dello stato al netto del pagamento degli interessi sul debito): 0,75% del Pil secondo la proposta greca, 1% secondo quella dei “creditori” (Unione Europea, Fmi, Bce).

Ma naturalmente questo compromesso – che avrebbe previsto comunque, come già preannunciato dallo stesso Tsipras, “dolorose concessioni” alle pretese della Troika – aveva una sua razionalità se accompagnato da una robusta “ristrutturazione” del debito pubblico ellenico. Tradotto: se i creditori avessero accettato di rinunciare a una parte consistente di quel 180% sul Pil che sta strozzando Atene dopo la “cura” imposta dalla stessa Troika ai governi precedenti.

Questo il punto su sui “i creditori” non intendono fare concessioni, consapevoli che ammettere una eccezione nel caso greco aprirebbe il vaso di Pandora delle rivendicazioni di altri paesi in condizioni simili, con conseguenze inimmaginate sulla “stabilità” dei trattati europei.

Perciò neanche la due giorni di trattative “tecniche” serrate con la Commissione europea ha prodotto modifiche nelle rispettitive posizioni. 

Il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas, incaricato di dare una versione non traumatica per “i mercati”, ha spiegato ieri sera – con una inedita nota scritta, per evitare slittamenti di significato in sede di conferenza stampa – che il divario tra le parti è ancora “significativo”. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker avrebbe “fatto un ultimo tentativo questo fine settimana per trovare una soluzione con il primo ministro Alexis Tsipras in vista dell’Eurogruppo del 18 giugno. Nonostante qualche progresso, le discussioni non hanno avuto successo alla luce di un significativo divario tra i piani del governo greco e le richieste” della Troika.

Secondo la Commissione, “Inoltre, le proposte greche sono incomplete”, perché non comprendono nessuno dei diktat elencati nella controprosta dei creditori. Tutto perciò viene di nuovo rimandato all’Eurogruppo di giovedì in Lussemburgo.

Gli altri nodi su cui le parti non si trovano d’accordo sono la revisione del diritto del lavoro e la “riforma” delle pensioni.

Ma per Atene, stando alle dichiarazioni di un suo esponente, le richieste dei creditori sono “irrazionali”. E viene portata a dimostrazione  la posizione del Fmi, che avrebbe insistito su un taglio delle pensioni pari all’1% del PIL (1,8 miliardi di euro) e un aumento dell’Iva, che andrebbe a intaccare ancora una volta i consumi di massa, riducendo il reddito disponibile per sopravvivere.

A fine giugno scadrà l’attuale “memorandum”, e senza un nuovo accordo la via del default verrebbe spalancata, costringendo Atene o l’Unione Europea a prendere una decisione finale e comunque traumatica: dentro o fuori dalla Ue e/o dall’euro (si stanno studiando, come “piani B”, anche soluzioni intermedie). L’arma di ricatto è sempre la stessa: l’erogazione o meno dell’ultima tranche di “aiuti”, che avrebbe dovuto essere versata già alla fine di febbraio. Senza quei soldi, infatti, Atene non potrebbe ripagare le rate del debito in scadenza alla fine di giugno (2,6 miliardi di euro) al Fmi. 

E già questa stupida partita di giro – i “creditori” che nicchiano sul prestito da fare perché il debitore possa ripagare parte del debito precedente – la dice lunga su quanto si sia incartata la situazione.

Del resto il governo Syiza è un governo “riformista”, ma non somiglia affatto a quelle formazioni continentali che si dicono tali. Per esempio, sempre ieri, il vice cancelliere e ministro dell’Economia tedesco, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, si è espresso in questo modo nei confronti del governo Tsipras: “Vogliamo aiutare la Grecia a rimanere nella zona euro. Tuttavia, non solo il tempo inizia a mancare, ma anche la pazienza ovunque in Europa è sempre meno (…) In tutta Europa, il sentimento crescente è: Ora basta!”. Diciamo che la socialdemocrazia europea è indistinguibile dai cinservatorie/o dai liberali, mentre Syriza o Podemos sono espressione di un “riformismo di necessità” nato all’interno di lotte sociali durissime (oltre quindici scioperi generali in Grecia, il movimento degli Indignados in Spagna), che deve in ogni momento rispondere alla propria base sociale. Nessuna “autonomia del politico”, insomma…

Un tipo di considerazione che comincia a far breccia anche nei più avvelenati opinionisti anti-Atene dei media italiani. Persino Vittorio Da Rold, de IlSole24Ore, si è dovuto rendere conto che

“ancora oggi il 54% degli elettori greci – secondo la società Public Issue – è favorevole alla seppur alternante strategia negoziale della maggioranza di governo, mentre Syriza, il partito del premier, è sempre saldamente al top delle preferenze con un ottimo piazzamento del 48% (12 punti in più dei voti ottenuti il 25 gennaio) davanti parecchie lunghezze rispetto al misero 21% del centrodestra dell’ex premier Antonis Samaras, sempre più isolato nel suo stesso partito di Nea Demokratia come pure Evanghelos Venizelos che ha deciso di non candidarsi più alla segreteria del Pasok ormai a rischio estinzione”. 

L’alternativa a Syriza, se dovesse fallire nel portar fuori la Grecia dall’abisso dell’austerità, non sarebbero queste formazioni ormai sputtanate come “figlie di Troika”, ma i nazisti di “Alba dorata”. 

Tutta la partita politica, in Grecia, si gioca infatti su un senso comune assolutamente irrazionale: rimanere nell’Unione Europea e nell’euro (il 72% della popolazione sarebe di questa idea, secondo i sondaggi), ma senza l’austerità e i doktat della Troika. Insomma: Tsipras sta rispettando – tra molte difficoltà – la sua mission impossible. E questo lo capiscono tutti, in quel paese. Quindi, è costrettao infine ad ammettere, smentendo le proprie analisi precedenti e le speranze colivate a lungo dai “creditori”, 

“Chi punta sulla debolezza politica di Tsipras o sulle divisioni interne a Syriza con il leader dell’ala sinistra del partito, Panagiotis Lafazanis, sbaglia i suoi calcoli”.

Ma intanto, sulla base di questi calcoli illusori, sono andati persi altri quattro mesi…

La nuova settimana “decisiva”, peraltro, non sembra cominciare sotto le insegne dell’ottimismo. Il mistro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ammette per la prima volta che la “Grexit” è un’eventualità pausibile in queste condizioni, per quanto non voluta: “Io escludo una Grexit come soluzione ragionevole. Ma nessuno può escludere tutto: io non posso escludere che una cometa impatti la Terra”.

Sul fronte opposto, il capo economista del Fmi, Olivier Blancherd, afferma che “Un accordo sulla Grecia richiede scelte dure da tutte le parti”, con Atene che dovrebbe impegnarsi su ‘misure davvero credibili’ per risolvere i problemi di bilancio agli occhi dei creditori. I quali, invece, dovrebbero “riprogrammare i pagamenti sul debito a tassi d’interesse più bassi”.

Il capo economista del Fondo monetario internazionale afferma quindi come obiettivi più soft sul fronte del bilancio della Grecia siano coerenti con un debito sostenibile solo se i paesi europei si mettano d’accordo su una ristrutturazione di tale debito, quindi dei loro prestiti ad Atene. La dichiarazione di Blanchard – scrive il Wall Street Journal – viene vista in alcune capitali europee come un monito ad alcuni paesi, a partire dalla Germania, perché abbandonino la richiesta di misure d’austerity troppo restrittive o rinuncino a una parte del debito greco.

Se ci è arrivato persino il Fmi….

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