“Russia e Ucraina sono predestinate per un futuro comune”: così ieri NTV riassumeva la parte dell’intervento che Vladimir Putin, al forum economico di San Pietroburgo, ha dedicato alla crisi ucraina, determinata, secondo il Presidente russo, dal sostegno occidentale al golpe del febbraio 2014, che ha poi portato <a una crudele contrapposizione e, di fatto, alla guerra civile>. Putin ha anche ribadito quanto affermato di recente: “sentiamo continuamente la stessa cosa, ripetuta come un mantra, che la Russia deve esercitare la sua influenza sul sudest dell’Ucraina. Noi lo facciamo. Ma il problema non può essere risolto solo con la nostra influenza sul sudest. E’ necessario premere anche sugli attuali poteri ufficiali di Kiev. E questo noi non possiamo farlo”.
E’ fuor di dubbio che, in più di un’occasione, si sia vista l’influenza di Mosca sulle scelte politiche e militari delle milizie; un’influenza che, a dispetto dei portavoce nostrani della “guerra santa” di Porošenko-Jatsenjuk, ha evitato a Kiev alcune cocenti batoste; un’influenza manifestatasi non solo al tavolo delle trattative con Kiev. Trattative che sono proseguite lo scorso 16 giugno con la riunione a Minsk del Gruppo di contatto a tre – Kiev, Mosca, Osce – cui sono stati invitati anche i rappresentanti di Donetsk e Lugansk, ma in cui si sono registrati pochi progressi, con le proposte di riforma costituzionale avanzate dalle Repubbliche e ignorate sistematicamente da Kiev.
Lo sfondo su cui è svolto l’incontro è del resto poco mutato da quando, il 3 giugno scorso, questo era saltato a causa dell’offensiva ucraina a ovest di Donetsk, con il riposizionamento delle artiglierie governative a ridosso della linea di demarcazione, in aperta (e spavaldamente proclamata da Kiev) violazione proprio degli accordi di Minsk del febbraio scorso. La situazione è tanto poco mutata che anche giovedì una donna è rimasta uccisa a Donetsk per i bombardamenti governativi, continuati ieri e oggi con l’impiego di obici, bombe a grappolo “Uragan”, mortai pesanti e carri armati. Villaggi e centri abitati (Pervomajsk, Stakhanov, Kirovsk) a poca distanza dalla linea del fronte, nella regione di Lugansk, rimangono spesso privi di acqua ed elettricità, proprio a causa delle cannonate governative; questo, in aggiunta alla famigerata disposizione, emanata alcune settimane fa dal rappresentante militare di Kiev Ghennadij Moskal, che ha condannato gli abitanti di Lugansk al blocco dell’acqua, ostentando in maniera insolente i metodi del collaborazionista filonazista Ostap Bandera “di sera la luce, al mattino l’acqua”.
E la situazione non può che mutare in peggio, se l’influenza da esercitare su Kiev di cui parla Putin si riassume nel via libera concesso dal senato USA alla variazione di bilancio 2016 per 300 milioni di dollari, per la fornitura di armi d’attacco all’Ucraina. Una fornitura il cui saldo, verosimilmente, andrà ad aggiungersi ai miliardi di dollari e di euro di “aiuti” euroatlantici, che Kiev dirotta di filato sul fronte del Donbass. Già oggi infatti, il Ministero della difesa lamenta grossi problemi anche solo per l’aumento dell’esercito da 140.000 a 250.000 uomini voluto da Porošenko. I 4 miliardi di dollari che il governo intende destinare quest’anno alla Difesa – il bilancio di previsione era di 2 miliardi di dollari: 1,7 volte più che nel 2014 – significano circa il 5% del Pil, rispetto al 2,7% precedente: ciò è quanto decretato da “Je suis Charlie”-Porošenko, che ieri ha fatto arrestare i tremila manifestanti che, sul boulevard Taras Ševčenko di Kiev, chiedevano le sue dimissioni. Ma altre dimostrazioni sono attese anche per oggi, tanto che il Ministero degli interni ha già dirottato diverse centinaia di agenti verso il rione Pečerskij della capitale ucraina, dove si raduneranno i manifestanti.
D’altronde, il programmato raddoppio degli uomini di truppa, appare una necessità quasi ineluttabile per chi non dimostra intenzione alcuna di voler giungere a una soluzione pacifica della crisi e deve guardarsi anche dai problemi militari e politici interni, causati sempre più spesso dalla condotta dei battaglioni “volontari” e dai loro continui rifiuti di sottostare agli ordini del Ministero della difesa o di essere inquadrati nei reggimenti regolari.
Ma, nonostante le difficoltà di bilancio ucraine, stando al rapporto settimanale dell’Osce, riportato dall’agenzia Novorossija, si è vicinissimi al riesplodere di una guerra in grande stile su tutto il fronte del Donbass e pare dunque destinato a crescere il numero di profughi ucraini in Russia. Secondo il Servizio federale russo per la migrazione, su 2,6 milioni di ucraini stabilitisi in Russia, oltre un milione sono quelli che hanno dovuto abbandonare il Donbass. Quasi mezzo milione coloro che hanno chiesto asilo temporaneo, status di rifugiato o ricongiungimento familiare.
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