La Francia è un paese che ha uno Stato e una sua politica economica. Discutibilissima, naturalmente. Ma non oermette di usare il proprio territorio e la propria popolazione come terreno di caccia libero per il primo capitalista multinazionale e rampante che passa.
Nei giorni scorsi Parigi era stata teatro di spettacolari proteste dei traxisti contro la presenza di Uber Pop, una “non impresa” che si limita a far incontrare la necessità di un mezzo di trasporto privato con la disponibilità occasionale di pivati cittadini, grazie a una tecnologia da social network.
Il prefetto di Parigi ha in un primo momento deciso di vietare UberPop per decreto, come peraltro rischiesto direttamente dal governo. Poi i due capi della filiale francese di UberPop, Thibault De Saint-Phalle e Pierre-Dimitri Gore-Coty, sono stati fermati dalla polizia in seguito alle indagini sulla controversa applicazione statunitense che il prefetto di Parigi ha vietato nei giorni scorsi dopo le manifestazioni dei tassisti. I due capi di Uber France in stato di fermo stanno ora subendo l’interrogatorio della polizia nel quadro delle indagini su “servizi illegali e dissimulazione di dati informatici”.
Non basta: sono stati dispiegati sul territorio, presumibilmente in borghese, duecento agenti in più per individuare e fermare gli autisti clandestini. Ad occuparsene sarà la brigata ‘Boers’ della polizia parigina, specializzata nel controllo e nell’attività dei taxi. Già da settimane, la brigata moltiplica i controlli per smascherare gli UberPop, un’attività ritenuta “illegale” dallo stesso ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve.
Su Uber Pop si scontrano direttamente due logiche capitalistiche opposte, che e evidenziano il carattere assolutamente contraddittorio.
Una è quella “classica”, del capitalismo regolato da leggi, norme, contratti, con lo Stato a verificare di volta in volta il rispetto di quanto stabilito. E’ la logica del tener conto delle diverse classi sociali, della loro necessità di riproduzione, dell’equilibrio tra le diverse classi. E la Francia, come la Germania e altri paesi del “grande Nord”, stano bene attenti a che questi equilibri non vengano rotti, creando conflitti indesiderati. Basta andarci per vedere che i grandi centri commerciali – Auchan e Carrefour, proprio quelli che da noi spuntano come funghi dapperutto – non hanno spazio all’interno dei centri cittadini. E’ visibile e tangibile la volontà di mantenere la struttura dei piccoli negozi, per esempio, che non ha una grande efficienza economica ma garantisce un reticolo sociale “intermedio” tra grande impresa, lavoratori dipendenti, migranti, ecc. Un reticolo utilizzabile magari anche in chiave di “controllo sociale”, fonte di informazioni e schedatura di soggetti sotto mira, ecc. Insomma, il bello e il brutto di un insieme sociale “inclusivo”, pervasivo, da “politica dei redditi”, welfaristico e anche un po’ poliziesco.
Quella di Uber Pop è invece la logica multinazionale, svincolata da qualsiasi visione di “tenuta sociale”, dove i contratti sono “ad hoc” (a cottimo, praticamente) e senza alcuna continuità di rapporti con i prestatori occasionali di prestazioni. Gli unici dipendenti sono quelli necessari a far funzionare l’infrastruttura informatica, la gestione delle lamentele dei clienti, l’amministrazione contabile. Non vuole alcun rapporto con il territorio utilizzato; incassa e basta, paga le tasse nel paese d’origine (e di domicilizione fiscale), non versa contributi previdenziali, ecc.
Le due logiche capitalistiche si ritrovano anche dal lato della clientela e da quello della concorrenza. Per il “cliente” è quasi un sogno double face: prezzi bassi, ma nessuna garanzia reale in caso di problemi (non è detto, per esempio, che la macchina che ti viene a prendere sia coperta da assicurazione). Per la concorrenza – i tassisti – è naturalmente l’incubo della disoccupazione.
Ma chi “lavora” per Uber? Chiunque abbia una macchina, tempo libero al momento della chiamata. Un “lavoretto” occasionale, quasi quanto fare babysitting. Che magari va bene per “arrotondare”, ma non può costituire “il lavoro” con cui ti mantieni in vita.
Ma è questo il futuro del lavoro “dipendente” reso possibile dalle tecnologie. A meno che…
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