L’esecutivo di al-Sarraj si è insediato a Tripoli, ma le resistenze interne sono numerose e distruttive. All’Occidente bastano le apparenze: la macchina della guerra è di nuovo in funzione.
L’Europa scalda i motori. La precondizione tanto attesa si è finalmente palesata: un governo di unità libico si è insediato a Tripoli, l’operazione militare ormai è vicina. Poco importa che quel governo non sia riconosciuto dai due parlamenti rivali che avevano siglato un accordo di unità in Marocco, lo scorso dicembre, né che buona parte delle milizie attive sul campo lo minaccino apertamente. Mercoledì, il giorno dell’insediamento nella capitale, il parlamento islamista ha definito il governo al-Sarraj illegale e chiesto di andarsene subito.
Ma bastano le apparenze, come appare chiaro dalle parole del ministro degli Esteri francese Ayrault che ieri, rivolgendosi alla comunità internazionale, ha chiesto di preparare al più presto il supporto militare all’esecutivo del premier al-Sarraj. Supporto militare significa intervento armato che in un tale contesto di divisione significa guerra civile, ancora più distruttiva di quella che sta insanguinando la Libia dal 2011.
I gruppi armati fedeli ai parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk hanno infatti già dichiarato la contrarietà ad un intervento straniero, che ovviamente non piace neppure alle milizie esterne ai due governi e ai gruppi islamisti attivi in Libia. L’unica milizia che ha riconosciuto fedeltà al nuovo esecutivo è quella di Misurata, che in questi giorni sta proteggendo la base dove il governo si è installato.
Centrale sarà il ruolo dell’Egitto che controlla l’esercito di Tobruk guidato dal potente generale Haftar: il presidente egiziano al-Sisi si è più volte detto contrario ad un’operazione europea anti-Isis nel paese, facendosi ago della bilancia del possibile confronto. Nei giorni scorsi, però, Il Cairo si è detto interessato a riconoscere il governo al-Sarraj, eliminando così la contrarietà a priori del parlamento di Tobruk che per mesi ha boicottato il voto di fiducia. Da parte sua Haftar resta in attesa, consapevole del potere di cui gode nell’est della Libia: secondo gli analisti, getterà un occhio sulla Tripolitania per verificare le capacità di tenuta del nuovo governo, per poi decidere cosa fare.
Ed ecco che Il Cairo del golpe militare veste nuovamente i panni del difensore degli interessi occidentali, un paravento che gli permette di proseguire nelle politiche di repressione delle libertà interne senza ricevere troppe critiche.
E se ieri dieci città libiche sottoposte all’autorità del governo islamista di Tripoli hanno dichiarato fedeltà al nuovo esecutivo di unità, di certo tale appoggio non basta. Non basta che sia la comunità internazionale a riconoscere un governo che la Libia stessa non riconosce. Gli applausi di Obama, Renzi e Hollande non possono che generare estrema preoccupazione, soprattutto alla luce dei piani internazionali che immaginano già una Libia divisa: gli italiani in Tripolitania, i britannici in Cirenaica, i francesi nel Fezzan, una divisione neocoloniale che avalla gli interessi strategici europei.
Interviene anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che giovedì ha emesso una risoluzione che attribuisce al solo governo di unità l’autorità di esportare petrolio all’estero, condannando contemporaneamente le “istituzioni parallele” che fanno altrettanto. Già ieri alcune milizie a controllo di giacimenti petroliferi hanno giurato fedeltà ad al-Sarraj.
da Nena News
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