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Kiev-Donbass: autonomia transitoria contro status speciale permanente

Alla vigilia della riunione del Gruppo di contatto (DNR, LNR, Osce, Russia e Ucraina) sul Donbass, fissata per oggi in videoconferenza, la Rada suprema ha approvato ieri in seduta straordinaria e in prima lettura le modifiche alla Costituzione ucraina relative al decentramento; modifiche per niente “in favore dei territori in mano ai ribelli”, come ha scritto qualche testata nostrana.
La differenza non è solo linguistica, se si tiene conto che le modifiche costituzionali proposte dal presidente ucraino Porošenko non prevedono lo status speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk, in via permanente, nel corpo stesso della Costituzione – e non in una legge a parte e in via transitoria, come invece intende Kiev –  come espressamente sancito dagli accordi di Minsk del febbraio scorso e su cui hanno continuato a insistere anche Germania e Francia, quali garanti (per quanto non imparziali) del rispetto di quegli accordi. Stepan Kubiv che, a nome di Porošenko, ha presentato ieri il progetto di modifica costituzionale, ha detto espressamente che “non c’è alcun paragrafo sulla concessione di uno status speciale alle regioni di Donetsk e Lugansk. Le specifiche dell’applicazione dell’autonomia a quei territori saranno regolate da una legge a parte”.
Ma neanche questo è sembrato sufficiente alle opposizioni parlamentari ultranazionaliste e tantomeno ai gruppi neofascisti e neonazisti riuniti fuori della Rada. Le modifiche sono state votate da 265 deputati contro 87; in seconda lettura (la riforma costituzionale, secondo gli accordi di Minsk, dovrà essere completata entro il 31 dicembre 2015) la maggioranza dovrà essere di 300 deputati.
Il fatto che il voto di ieri sia stato accompagnato, dentro la Rada, dal blocco del Presidium da parte dei partiti Radicale di Oleg Ljaško e Patria di Julija Timošenko e, fuori dell’edificio, da scontri sanguinosi, con morti e feriti, tra Guardia nazionale (costituita da “pentiti” dei battaglioni neonazisti) e manipoli di quegli stessi battaglioni, che si oppongono anche a quella parvenza di autonomia proposta da Porošenko, non fa che confermare il carattere fascista di tali raggruppamenti. Tant’è che oggi il Financial Times si domanda “ingenuamente”: se da una parte c’era la Guardia nazionale e dall’altra i battaglioni neonazisti, chi è per la democrazia e chi è contro?
Lo spargimento di sangue di fronte alla Rada, ha dichiarato ieri il rappresentante permanente della Repubblica popolare di Donetsk al Gruppo di contatto, Denis Pušilin, è il prezzo “pagato per l’alleanza criminale dell’attuale potere ucraino coi gruppi radicali, neofascisti e neonazisti, che dettero man forte nel colpo di stato. Le azioni di tali elementi erano assolutamente prevedibili: essi vogliono continuare a uccidere; continuare la guerra e ogni passo verso la cessazione del conflitto è per loro estremamente amaro”. Quei gruppi, ha detto ancora Pušilin, mascherano dietro slogan patriottici i propri interessi predatori: “Non appena la guerra finisce, si ritrovano a essere banditi, criminali, teppisti, saccheggiatori, la feccia della società”; quale in realtà era, secondo Vladimir Olejnik del Comitato di salvezza nazionale ucraino, l’80% di essi prima del colpo di stato del febbraio 2014. Lo stesso Olejnik, intervistato in serata dalla tv Rossija 24, ha ribadito che l’unica soluzione alla crisi ucraina può venire soltanto dalla federalizzazione dello stato.
Da parte sua, Porošenko, nel discorso alla nazione trasmesso in serata e dedicato a barcamenarsi tra le necessità “diplomatiche” dettate dalla riunione odierna del Gruppo di contatto e gli obblighi “storici” di giustificarsi di fronte alle bande neonaziste, contrarie a ogni sia pur minima concessione di autonomia territoriale, ha ribadito che le modifiche costituzionali, come da lui proposte, “significano non la perdita di territorio, ma al contrario offrono una chance di reinserire, per via politico-diplomatica, sotto sovranità ucraina, i territori occupati”.
Di diverso parere il rappresentante russo presso l’Unione Europea, Vladimir Čižov, secondo il quale è proprio la parte politica degli accordi di Minsk a non aver sinora funzionato, perché non si è preso atto del nocciolo del problema, cioè “l’impossibilità o la non volontà di Kiev, compreso il presidente Porošenko, di sedersi a trattare faccia a faccia coi rappresentanti di Donetsk e di Lugansk”.
La realtà è che Porošenko stesso, appena il 22 agosto, intervenendo a una parata militare a Kharkov, aveva candidamente spiattellato che gli accordi di febbraio a Minsk hanno regalato a Kiev tempo prezioso per rafforzarsi sul piano militare e che “sono tramontati i tempi del frivolo pacifismo”. E il 29 agosto, dopo che anche il parlamento regionale di Zaporože aveva votato la richiesta di concessione di uno status speciale, Porošenko si era detto convinto dell’appoggio “del 78% della popolazione ucraina” e anche “della coalizione mondiale pro-ucraina” al suo progetto di riforma costituzionale nel senso del decentramento, ribadendo che nessuna regione otterrà uno status speciale. Il presidente aveva addirittura tenuto a ribadire il suo impegno per togliere dal testo costituzionale ogni riferimento a un possibile status speciale per alcune città, compresa la capitale Kiev, per tagliare le gambe a ogni “parata delle sovranità”. Porošenko aveva specificato che le modifiche alla Costituzione avrebbero presupposto non uno status speciale, ma solo la possibilità di uno specifico programma di applicazione dell’autonomia locale in alcune unità amministrativo-territoriali delle regioni di Donetsk e di Lugansk, programma che verrà determinato da una legge separata.
Naturalmente a Donetsk e Lugansk hanno subito detto che il progetto in discussione alla Rada aveva “poco a che fare” con la riforma prevista dal Minsk-2. Tutto ciò che è stato presentato alla Rada, aveva detto Denis Pušilin, “ricorda solo lontanamente il complesso di misure per l’applicazione degli accordi di Minsk; è una sua libera interpretazione”. Il progetto di Porošenko prevede in effetti un sistema di autonomia locale a tre livelli, accanto al rafforzamento dei poteri del presidente, che avrà diritto di fermare anticipatamente le competenze degli organi locali e nominare al loro posto un commissario speciale per un anno, per evitare “manifestazioni locali di separatismo”. E nel Donbass sottolineano come DNR e LNR non siano state minimamente coinvolte nei lavori sulla riforma costituzionale.
Intanto oggi, in coincidenza con l’inizio della scuola, i rappresentanti al Gruppo di contatto esamineranno l’applicazione del cessate il fuoco che, in base agli accordi della loro ultima riunione, il 26 agosto, dovrebbe entrare in vigore proprio oggi. Naturalmente, ha detto ieri Pušilin, verranno affrontati anche i temi della riforma costituzionale, della legge sullo status speciale del Donbass e di quella sulle lezioni locali nel territorio della DNR. Le delegazioni delle Repubbliche presenteranno, in particolare, il loro progetto di riforma costituzionale. Tra i punti del Minsk-2 su cui si deve discutere oggi figurano anche il ritiro delle artiglierie pesanti, la creazione di una zona di sicurezza e il pagamento di sussidi e pensioni agli abitanti delle Repubbliche, bloccato ormai da mesi da Kiev.
In modo (forse non del tutto) ipocrita, il 30 agosto Porošenko aveva fatto gli auguri agli abitanti di Donetsk, in occasione della Festa della città, promettendo, per l’appunto, l’inizio del pagamento di sussidi e pensioni, oltre alla ricostruzione del Donbass, bombardato per un anno e mezzo, ma ribadendo anche che “il Donbass è e sarà ucraino”. Quasi a fargli eco, il presidente della Repubblica popolare di Lugansk, Igor Plotnitskij, ha detto ieri che la LNR non esclude un referendum per l’unione alla Russia. In ogni caso, ha aggiunto, uno status speciale per il Donbass lo “avremo soltanto se Angela Merkel e François Hollande prenderanno Porošenko sottobraccio e Vladimir Vladimirovič gli metterà in mano la penna”. E, per aggirare il blocco economico di Kiev, da oggi il rublo russo sarà moneta ufficiale della LNR.
Da parte sua, il Presidente della DNR, Aleksandr Zakharčenko ha ribadito che “era chiaro sin dall’inizio” che Kiev non ha intenzione di concedere lo status speciale al Donbass. “Kiev ha tirato in lungo in ogni maniera l’applicazione degli accordi di Minsk, per guadagnare tempo. Tutte le nostre proposte sono state respinte. Posso dire che le elezioni locali, il 18 ottobre, si terranno secondo le nostre leggi”.
Se appare dunque quantomeno ottimistico azzardare previsioni positive sui risultati dell’incontro odierno del Gruppo di contatto, non ci si può però sbagliare di molto prevedendo tempi molto difficili, in patria, per Porošenko il quale, se per un verso può pensare di essere visto da Mosca ancora come l’elemento “meno controverso” (e con cui coincidono vari interessi economici) nell’élite ucraina uscita dal golpe, dovrà in ogni caso tener conto degli umori dell’ambasciata USA, senza la quale, come ha osservato Vladimir Olejnik, nessuna Majdan muove passo.

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