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Due popoli per due stati? I palestinesi non ci credono più

La maggior parte dei palestinesi non crede più nella soluzione dei due Stati. Lo rivela un sondaggio realizzato nei giorni scorsi dal Palestinian Centre for Policy and Survey Research, secondo cui la percentuale dei cittadini dei Territori Palestinesi Occupati che credono e sostengono l’obiettivo di due Stati liberi e sovrani, uno palestinese l’altro israeliano, come soluzione al conflitto in Medio Oriente è calata al 48%. Il 51% dei 1270 intervistati, tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, semplicemente non crede che sia realizzabile o che sia l’obiettivo più condivisibile, mettendo in discussione uno dei pilastri delle cosiddette ‘trattative di pace’ condotte negli ultimi decenni sulla spinta delle pressioni europee e soprattutto statunitensi. Pressioni esercitate esclusivamente sulla parte palestinese mentre Israele annetteva di fatto vaste porzioni di territorio occupate attraverso la moltiplicazione delle colonie, degli insediamenti regolari in particolare a Gerusalemme e la costruzione del “muro dell’apartheid”. 

Non a caso il sondaggio in questione rivela che il 65% dei palestinesi ritiene la soluzione dei due Stati “non più praticabile” proprio per colpa dell’aumento esponenziale degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e della colonizzazione israeliana. “La maggior parte degli intervistati – osserva il direttore del sondaggio, Khalil Shikaki, in un commento – considera responsabili della situazione gli altri paesi della Lega Araba, accusati di aver abbandonato la causa dei Palestinesi”. Secondo il 78% dei palestinesi le probabilità di ottenere un proprio Stato nei prossimi cinque anni sono “da minime a inesistenti”.
Alla domanda: “Qual è il modo più efficace per stabilire uno Stato palestinese indipendente accanto ad Israele” il 42% ha risposto “la lotta armata” e solo il 29% ha detto che è necessario negoziare con Israele.
Secondo il sondaggio quasi i due terzi dei palestinesi (65%) vorrebbero le dimissioni del presidente Abbas, il cui indice di gradimento – intorno al 44% tre mesi fa – è crollato attualmente al 38. Se si tenessero nuove elezioni domani, riferisce lo studio, il 35% degli intervistati dice che voterebbe per Hamas.
Intanto l’esercito occupante continua a uccidere i palestinesi nella più completa impunità. Un giovane palestinese – il terzo in 3 giorni – è morto a causa dei colpi sparati dai militari di Tsahal. Ahmad Izzat Khatatbeh, 26 anni, è morto a causa delle ferite riportate al petto e all’addome venerdì scorso, vicino alla colonia ebraica di Itamar, nei pressi di Nablus.
Martedì era toccato al 21enne Diyaa Abdul-Halim al-Talahmeh, di Dura, e alla 18enne Hadil Hashlamoun, uccisa ad Hebron dopo che si era rifiutata di farsi perquisire da soldati maschi. Nel caso della ragazza i soldati occupanti si sono giustificati accusando la ragazza di voler accoltellare uno di loro, ma il video che ha ripreso tutta la scena smentisce le bugie dell’esercito israeliano. E anche il ragazzo ucciso martedì non stava lanciando alcuna bomba contro i militari, come invece recita la versione ufficiale diffusa da Tsahal. Dall’inizio dell’anno sono diventati 26 i palestinesi uccisi nei Territori Occupanti da israeliani in divisa, ai quali si aggiungono quelli assassinati dai coloni che ormai spadroneggiano in diverse aree.
Intanto il Gabinetto di Sicurezza di Israele ha dato l’ok al cambiamento delle regole di ingaggio delle forze di sicurezza nel contrasto alla cosiddetta ‘violenza’ dei palestinesi. Le nuove norme permettono a soldati e poliziotti di sparare con maggiore facilità contro i lanciatori di pietre. In contemporanea la Knesset ha approvato ieri un nuovo provvedimento legislativo che fissa a 4 anni di carcere la pena minima per chi attacca, anche solo con pietre, le forze occupanti, prevedendo anche multe più alte per le famiglie dei minorenni. Già a fine luglio il parlamento israeliano aveva approvato un disegno di legge presentato dal governo che introduce una pena fino a 20 anni di carcere per chi lancia pietre.

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