Com’era previsto, Alexis Tsipras non ha avuto alcun problema ad ottenere il voto della maggioranza parlamentare e ad essere quindi investito come successore di sé stesso. Mercoledì notte il leader di Syriza ha ottenuto tutti e 155 i voti previsti, quelli dei deputati del suo partito e quelli dei nazionalisti di destra dei ‘Greci Indipendenti’.
Nessuna sorpresa, almeno per ora: d’altronde la Syriza che ha vinto con il 35% le ultime elezioni anticipate è stato ampiamenta depurata dai settori critici nei confronti del cedimento alla Troika e all’austerity. Dopo la scissione della Piattaforma di Sinistra e di altri settori combattivi che hanno dato vita a Unità Popolare, la direzione del partito in versione 2.0 ha attentamente evitato di inserire nelle liste esponenti di ambienti politici, sociali e sindacali potenzialmente poco disponibili a votare l’interminabile lista di tagli, sacrifici e privatizzazioni che il capo del governo accettò a luglio chinando la testa di fronte ai diktat di Berlino e Bruxelles.
Nel suo lungo intervento prima del voto parlamentare di investitura del nuovo esecutivo, Tsipras ha chiesto “un voto di fiducia, ma anche un sostanziale sostegno al nuovo, difficile sforzo che sta iniziando”. Di nuovo, nel programma di governo, rispetto alle politiche dei governi degli ultimi anni targati troika, in realtà c’è veramente poco. A parte alcune riforme in campo giuridico e civile, infatti, la nuova tabella di marcia del governo è già definita dall’accordo raggiunto il 13 luglio fra Tsipras e i cosiddetti creditori di Atene.
Lo stesso premier, prima della conta, ha del resto ribadito che il suo “obiettivo primario” è quello di rispettare senza indugi gli impegni assunti con i creditori, così da ottenere a novembre il via libera “per concludere, entro la fine dell’anno, la ricapitalizzazione delle banche e iniziare la discussione per una riduzione del debito” del Paese. I manovratori di Bruxelles, da parte loro, hanno già fatto intendere che se Atene farà i compiti si potrà iniziare a discutere di un eventuale taglio del debito, ma che la misura venga adottata è tutto da vedere.
I poteri forti – interni ed esterni – non hanno neanche aspettato che il Voulì desse la fiducia al nuovo governo per iniziare a ricordare a Tsipras cosa si è impegnato a fare. Ad esempio ulteriori tagli alle pensioni già martirizzate mediamente del 48% dall’inizio della gestione autoritaria e antipopolare da parte dell’Unione Europea e del Fmi. Il ministro del lavoro Katrougalos ha affermato che al massimo cercherà di evitare di tagliare troppo gli assegni inferiori ai mille euro, ma la cosiddetta ‘commissione di saggi’ incaricata di studiare la presunta ‘riforma del sistema pensionistico’, a partire dal blocco dei prepensionamenti e dall’aumento dei contributi previdenziali, ha già fatto sapere che se servirà si taglieranno anche gli assegni oltre gli ottocento euro.
Prospettiva probabile, visto che gli indicatori economici sono drasticamente negativi. Tsipras, nonostante le promesse di rendere graduali gli interventi antipopolari che si è impegnato ad applicare sulla base di una ‘riduzione del danno’ descritta come il massimo di resistenza possibile ai diktat della Troika, potrebbe quindi dover intervenire assai più pesantemente anche di quanto preventivato.
Quest’anno si prevede infatti che il Pil ellenico crolli ancora del 2.3% e almeno dell’1.3 nel 2016. Anche la disoccupazione rimarrà superiore al 25% (anzi dovrebbe aumentare fino al 25.8% contro il 24.6 del 2014 e il 25.4 previsto a fine 2015), un dato che nasconde una esplosione della precarietà e della sottoccupazione, e che non è più alto solo perché molti giovani greci continuano a emigrare altrove pur di trovare un lavoro.
Oltretutto, pronto a calare come una ghigliottina sul collo di Tsipras ci sarebbe già un buco da ben 8 miliardi nelle casse dello stato. Secondo quando rivelato dal quotidiano ellenico Kathimerini, il buco minaccia di mandare al macero ogni buona intenzione dell’esecutivo e di prosciugare del tutto i fondi di previdenza sociale del paese. Di fatto i conti realizzati dal governo non avrebbero tenuto conto delle 300 mila domande di pensionamento che sono in attesa, per un dispendio totale di circa 4 miliardi di euro da cominciare a spendere nei prossimi 2-4 anni. Come se non bastasse il governo deve trovare altri 4 miliardi per compensare i mancati introiti derivanti dal taglio delle pensioni deciso dall’esecutivo in carica nel 2012 ma bocciato dal Consiglio di Stato. Anche in questo caso la cifra non è stata contabilizzata da una legge finanziaria presentata in versione edulcorata ma già estremamente pesante.
Per ottenere dagli strozzini che ricattano Atene le due tranche di “aiuti” pari ad un totale di 3 miliardi di euro, Syriza ha già ammesso che dovrà varare una manovra economica da almeno 4.3 miliardi, zeppa di tagli alle famiglie, alle imprese e come visto ai lavoratori e ai pensionati. Alle quali occorrerà evidentemente sommare misure finora non previste per recuperare almeno una parte degli 8 miliardi non contabilizzati. Tsipras prevede un taglio – dai 14.5 miliardi del 2015 ai 13.8 del 2016 – nel settore delle assicurazioni, dell’assistenza sanitaria e della previdenza; una riduzione netta del sistema di assistenza sociale che otterrà l’anno prossimo 5.1 miliardi contro i già insufficienti 5.5 dell’anno in corso. Il tutto per assicurare quell’avanzo primario dello 0.5% che un paese così fortemente indebitato non si può permettere, pena l’impossibilità di finanziare sanità, istruzione, assistenza sociale, ma imposto ad Atene dalla Troika nel terzo memorandum firmato da Tsipras e Tsakalotos.
Le ‘riforme’ vanno fatte senza discutere e di fretta, hanno ricordato nei giorni scorsi i capi delle istituzioni internazionali che hanno commissariato Atene. “C’è ancora molto da fare si devono ancora attuare una serie di riforme e altre, come quella delle pensioni e del mercato del lavoro, devono ancora essere progettate” ha detto il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, secondo cui “si tratta di riforme che sono nell’interesse della Grecia, se sono soddisfatte nel più breve tempo possibile possiamo continuare con il processo di ricapitalizzazione delle banche e avviare la discussione sulla riduzione del debito, ma questo richiede del lavoro precedente”.
“Sono convinto che alla fine del nostro mandato avremo cambiato la Grecia. Sarà un paese in cui i giovani potranno rimanere, dove il mercato del lavoro sarà migliorato e dove ci sarà giustizia sociale” ha affermato il primo ministro. Ma di fronte a una scenario simile la promessa da parte del governo di Atene di salvaguardare le fasce deboli della popolazione, di difendere i contratti collettivi e di ‘vendere’ ma non ‘svendere’ ai privati ciò che resta del patrimonio pubblico del paese appare davvero come irrealizzabile.
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