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Kiev teme uno scambio Siria-Ucraina tra Washington e Mosca

Ha concluso ieri i lavori a Minsk la commissione politica del Gruppo di contatto sul conflitto ucraino. Dopo che DNR e LNR, in seguito alle “raccomandazioni” del Quartetto normanno riunitosi il 2 ottobre a Parigi, avevano acconsentito al rinvio al 2016 delle elezioni locali, la commissione non aveva che da concentrarsi sull’organizzazione del voto. I rappresentanti di DNR e LNR, Denis Pušilin e Vladislav Dejnego hanno ribadito che ora, dopo il passo delle due Repubbliche popolari, Kiev non può esimersi dall’attuare tutti gli impegni presi con gli accordi di Minsk: in particolare, concessione dello status speciale al Donbass, amnistia per le milizie delle repubbliche, nuovo voto sulle modifiche alla Costituzione ucraina concordate con DNR e LNR. Rimane da sviluppare il lavoro sulla legge relativa proprio alle elezioni locali nel Donbass, che la LNR ha fissato al 21 febbraio e la DNR al 20 aprile.
Detto fatto: in serata è arrivata l’ultima delle troppe esternazioni cui Petro Porošenko si è lasciato andare negli ultimi tre giorni: l’occasione dell’incontro con una delegazione del Congresso USA era troppo ghiotta, per uno come lui, avvezzo a dire ad alta voce proprio quello che i suoi padrini yankee vogliono sentire. Ha quindi criticato DNR e LNR per aver fissato la data delle elezioni: secondo lui, il primo passo deve essere l’adozione della nuova legge elettorale ucraina. E, di fronte ai comandanti dell’esercito di casa, Petro ha avuto parole “zuccherate” anche per colui che definisce “il burattinaio” dei suoi “nemici”. A dispetto delle strette di mano e degli accordi da lui stesso sottoscritti il 2 ottobre a Parigi, Porošenko ha detto: “Non ho assolutamente fiducia in Putin e nelle sue marionette. Le azioni di guerra possono riprendere in qualunque momento e la nostra responsabilità è quella di mantenere alto lo spirito combattivo”. Questa la via che Kiev intende seguire per il “ritorno all’Ucraina dei territori occupati di Donbass e Crimea”.
Intanto però, come scrive MyInforms.ru, Kiev è sotto shock per timore che la Germania possa assumere posizioni “filo russe” e contrarie alle aspettative ucraine. L’Assemblea interparlamentare dei paesi Nato non ha mancato di minacciare l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia, se “non rispetterà gli accordi sul cessate il fuoco nell’Ucraina orientale”. Tuttavia, dei 14 emendamenti proposti al progetto di risoluzione di “Solidarietà con l’Ucraina” e di condanna “dell’ingerenza militare russa”, pare che la metà siano stati avanzati dal rappresentante della CDU (il partito di Angela Merkel) all’assemblea parlamentare della Nato, e di essi, a detta della delegazione ucraina, cinque si caratterizzerebbero come “separatisti” e gli altri due come “apertamente prorussi e antiucraini”. Karl Lamers avrebbe infatti proposto, invece della dizione “pressione sulla Russia”, di “esercitare pressioni su ambedue le parti per l’attuazione degli accordi di Minsk” e avrebbe anche chiesto di eliminare le parole “separatisti filorussi”. Gli emendamenti non sono ovviamente passati, per l’opposizione di varie delegazioni, in particolare quelle USA, polacca, francese e ucraina, ma l’ombra del “tradimento” tedesco deve aver impensierito non poco Kiev.
Tanto più che questo accade ad appena dieci giorni di distanza dalle parole sulla “integrità territoriale ucraina, senza la Crimea”, pronunciate a Parigi da Merkel in persona. E Lamers, oltre che deputato del partito della Cancelliera, è vice Presidente della Commissione difesa del Bundestag: insomma, da questa parte dell’Oceano, non si tratta proprio di un Salvini qualunque, per quanto a qualcuno possano apparire filorusse le sortite del razzista italico.
In realtà, come notano alcuni osservatori, la dissonanza tra le posizioni apparentemente “conciliatorie” dei tedeschi e quelle tradizionalmente aggressive di USA e compagnia, nascondono retroscena molto pratici. A partire proprio dalle contromisure russe alle sanzioni occidentali che, secondo Rossija Segodnija, hanno un costo per l’UE di 8.650.000.000 di euro, di cui 2.566 milioni per la sola Germania e sia Berlino che Parigi starebbero formulando i bilanci 2016 contando sulla fine delle sanzioni. Cui sono contrari gli USA che, attraverso esse, puntano anche a impedire un riavvicinamento tra UE e Russia. Questa non è l’ultima delle ragioni del dissidio tra le due sponde dell’Oceano a proposito dell’Ucraina. Secondo Adventur.ru, il politologo Viktor Šapinov considera anche altri momenti: la posizione della CDU è più che altro un segnale a Kiev, non tanto una posizione netta; inoltre, è risaputo che Angela Merkel punta al Nobel per la pace, e la Germania non spregia certo il ruolo di intermediario tra Washington e Mosca e ancor meno disdegna la leadership europea. 
Dunque non senza ragione Kiev pare così pensierosa, che l’ancora in odore di presidente Petro Porošenko, ha sentito il bisogno di ribadire i rapporti “particolari” tra Kiev e Washington. Perché, se gli emendamenti tedeschi a Bruxelles non sono passati grazie anche ai rappresentanti USA, poi però non sono sfuggite a nessuno le voci di uno “scambio” Putin-Obama della Siria per l’Ucraina. A volerle esorcizzare, Petro le ha definite “fantasie” e Gazeta.ru scrive che il presidente ha tenuto a ricordare come il Congresso abbia deliberato grossi stanziamenti, per il 2016, per l’aiuto militare a Kiev. Così che, dice lui, “i passi della Casa bianca dimostrano che le ennesime dicerie sullo “scambio” Ucraina-Siria non siano altro che fantasie di Mosca”.
In effetti, gli aiuti militari USA a Kiev non sembrano proprio andare nella direzione del processo di pace. In questo senso, non appaiono casuali nemmeno le dichiarazioni di Vladislav Dejnego secondo cui “il dialogo con Kiev può innalzarsi a livello di accordo, alla condizione che l’Ucraina attui tutti gli impegni previsti dagli accordi di Minsk. In particolare: il nostro controllo sulle forze di difesa, la nostra Milizia popolare, la nostra autonomia nelle questioni di frontiera che non dovranno dipendere dai capricci di Kiev; gli obblighi ucraini di finanziamento della nostra sfera socio-economica, di sviluppo culturale e ricostruzione di quanto distrutto sul nostro territorio”.
Le preoccupazioni del rappresentante della LNR al Gruppo di contatto, per i possibili “ripensamenti” ucraini, fanno il paio con quelle espresse dal rappresentante della DNR, Denis Pušilin, dopo i nuovi tiri dei mortai ucraini su Donetsk tra sabato e domenica, in seguito ai quali un civile era rimasto ucciso e altri due feriti.
Questo, sullo sfondo delle roboanti dichiarazioni di Porošenko secondo cui Kiev è pronta a schierare nuovamente le artiglierie appena ritirate, in caso di violazione del cessate il fuoco da parte dei “russi e dei loro mercenari”: come se, finora, tali violazioni non siano venute quasi sempre da parte ucraina. Alla voce grossa di Petro si è unita poi quella del suo mentore, l’ex presidente pro-UE Viktor Juščenko, che ha definito il leader dell’OUN al servizio delle SS, Stepan Bandera, “eroe sacro” dell’Ucraina e ha ricordato di come, sei anni fa, da presidente, lo avesse insignito del titolo di “Eroe dell’Ucraina” – decisione poi annullata dal presidente Viktor Janukovič.
E i megafoni di Porošenko-Janukovič sembrano proprio voler coprire il rumore dei blindati che, per l’appunto, stanno riportando a ridosso della linea del fronte i reparti di Prevyj sektor. Con il pretesto della rotazione degli uomini, in realtà i battaglioni neonazisti si stanno riposizionando a ridosso della linea di demarcazione con la DNR, precisamente nei settori di Gorlovka e Artemovsk. Ne ha dato notizia ieri il vice comandante delle Milizie della DNR Eduard Basurin, precisando che un battaglione di Pravyj sektor è stato avvistato “nella zona del villaggio di Zajtsevo, a un chilometro e mezzo dalla linea di contatto”, mentre “due compagnie di Pravy sektor si sarebbero posizionate attorno al villaggio di Kodem, a sei chilometri dalla linea di contatto”. Sempre ieri la ricognizione della DNR ha avvistato tre velivoli statunitensi senza pilota “Predator” nel territorio dell’aerodromo di Kramatorsk; mentre le forze “regolari” ucraine avrebbero posizionato complessi missilistici “Buk” e “Sau” a ridosso della linea del fronte, mentre, in base agli accordi di Minsk, dovrebbero trovarsi a una distanza di 70 chilometri dalle corrispondenti armi delle milizie.
Per il Donbass e le sue Milizie popolari non è ancora tempo di abbassare la guardia.

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