L’hanno chiamata Per amore dell’Egitto. La guida Sameh al-Yazal, ex capo dei Servizi segreti. Appoggia il piano del presidente al-Sisi che, come il panorama degli autocrati tornati in auge nel Medio Oriente post primavere, vuole una nazione prostrata e obbediente ai suoi voleri. Ovviamente questa lista vince il primo turno elettorale egiziano sopravanzando di molto gli islamisti del Nour party, cui s’erano uniti i copti. Conteggi e verifiche sono in corso, ma il cartello che unisce vari partiti pro regime dovrebbe raccogliere non meno di 60 seggi nei governatorati dell’Alto Egitto e del Delta del Nilo. Il successo può servire per alcune modifiche costituzionali (la Carta è stata riscritta nel 2014 a piacimento del presidente golpista) così da limitare ancor più le funzioni parlamentari a vantaggio del Capo dello Stato. Finora Sisi non ha spinto per quest’obiettivo, ma l’avanzamento di forze amiche che attuerebbero il disegno (contro se stesse, visto che si tratta di partiti e di eletti) può garantire ritocchi sostanziali. Come la cancellazione dell’approvazione parlamentare sulla scelta del premier operata dal presidente oppure sulla misura dell’impeachment, che in talune circostanze può essere rivolta al Capo di Stato. Voci critiche hanno annunciato che, dopo aver tenuto l’Assemblea del popolo congelata per tre anni, la lobby militare e i suoi sodali politici cercano di azzerarne ogni autonomia legislativa.
Dalla presa ufficiale del potere nel giugno 2014, Sisi ha emanato oltre 200 decreti presidenziali su argomenti d’ogni genere, sebbene la stretta su: sicurezza, libertà di stampa e d’organizzazione politica sia rimasta in cima ai suoi provvedimenti, come ben sanno attivisti dell’opposizione islamica e laica, giornalisti, blogger e intellettuali scomodi. Esenti da queste strettoie e per nulla toccate dal pugno di ferro militare e poliziesco le forze salafite, che fra l’altro offrono la base teologica a certo jihadismo antisistema. Anche analisti molto morbidi nei confronti dell’uomo forte egiziano non hanno potuto esentarsi da notare simili circostanze, avanzando sospetti sull’utilità del salafismo alla presunta laicità del progetto politico di Al-Sisi. Non è un segreto che esso piace molto alla dinastia Saud che continua a elargire petrodollari per sostenere un’economia tuttora claudicante anche nella voce delle entrate turistiche. Il volano produttivo della cintura tessile del Delta del Nilo è in ribasso da oltre un decennio, il nuovo business legato all’ampia area estrattiva scoperta dal pozzo mediterraneo Zohr (fino a 850 miliardi di metri cubi di gas da sfruttare) è tutto da avviare, mentre il via vai di navi sul raddoppio del Canale di Suez produce entrate per le compagnìe delle Forze Armate che riversano ben poco alla società. Così i dati recenti dicono che a settembre l’inflazione è salita al 9.2% rispetto ai mesi estivi (7.9%), s’era tenuta bassa dopo un’impennata dovuta agli aumenti del prezzo del carburante registrati a metà 2014.
I primi commenti lanciati dal cartello elettorale vincitore ribadiscono gli entusiasmi dei partiti protagonisti (Free Egyptian Party, Conference Party, Wafd) intenzionati a superare divisioni. Tutti candidamente sostengono di non avere ideologia (gli avversari sottolineano come il loro ideale sia l’affarismo) ma di mobilitarsi per sostenere l’unica via politica praticabile che non può prescindere dalla componente militare. Insomma una riedizione del ‘modello Mubarak’, com’è stato commentato da più parti che, non a caso, è sostenuto da ex uomini del raìs. In prima fila ci sono Mohamed Farag Amer e Mohamed Zaki al-Sewidi, affaristi, e l’ingegnere Sayed Gohar, tutti ex parlamentari di quel National Democratic Party messo fuori legge dalla “rivoluzione” del gennaio 2011; era fuorilegge il partito non i politici che dopo una breve vacanza si sono rilanciati. Poi c’è la componente degli uomini noti, tramite i media come il giornalista Mustafa Bakry e Ossama Heikal, già impegnato nel ministero dell’Informazione. Oppure grazie allo sport: l’ex calciatore e ministro Taher Abu Zeid. I filo presidenziali contano anche un pentito: l’ex membro della Fratellanza Musulmana Sameh Eid, che ha cancellato il passato aderendo al Conservative Party. Col suo giro di walzer ha ottenuto il doppio risultato di evitare la galera e proseguire l’attività politica, addirittura in Parlamento. Ultimo particolare, nient’affatto secondario: la media dei votanti del primo turno oscilla fra il 20 e il 25%. Nelle elezioni del 2012 aveva votato il 62% degli elettori. Anche su questo terreno l’Egitto riguarda all’era Mubarak, che trionfava col 97% del 10% che si recava alle urne: amici e sodali. Anzi, nemmeno tutti.
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