Menu

Già 52 i palestinesi uccisi, l’Anp chiede la protezione internazionale

”Sono 1950 i palestinesi feriti e almeno 52 i morti – di cui 17 minori – in queste ultime tre settimane di violenza in Medio Oriente, che affondano le loro radici nell’occupazione delle forze israeliane. Israele non è una vittima come si autoproclama”. Parole molto dure e di esasperazione quelle pronunciate stamani nel corso di una conferenza stampa dall’ambasciatrice dell’Autorità Nazionale Palestinese in Italia, Mai Alkaila. ”La situazione in Israele, nei Territori palestinesi occupati e in tutta la regione è molto critica e non preoccupa soltanto noi, ma anche la comunità internazionale”, ha detto la diplomatica palestinese. ”Le forze di occupazione israeliana hanno intensificato eccessivamente l’uso della forza, soprattutto per sopprimere ogni forma di protesta” e le parole del premier israeliano Benjamin Netanyahu sulla Shoah, ”sono soltanto una grande bugia”, per ”distogliere l’attenzione della comunità internazionale da quello che sta accadendo nella regione e dall’occupazione dei coloni e dalle forze israeliane”. Liquida in poche frasi le dichiarazioni pronunciate questa mattina dal primo ministro israeliano secondo cui Hitler non avrebbe voluto lo sterminio degli ebrei, ma sarebbe stato convinto dal Gran Muftì di Gerusalemme, Al Hussein. ”Non mi curo delle parole di Benjamin Netanyahu – replica – sono false e totalmente fuori dalla realtà”.

L’attenzione, va riportata ”sulle sofferenze della popolazione palestinese indifesa e disarmata che soffre per le grosse violazioni dei diritti umani sotto l’occupazione illegale da parte israeliana, fonte di tutte le violenze”, ha ripetuto più volte il rappresentante dell’Anp.
”Violenze inflitte da Israele per oltre 48 anni, che lasciano poche speranze per un futuro di pace e stabilità”. Una violenza, rilancia, che non risparmia soprattutto giovani, bambini e donne palestinesi. A preoccupare in queste ultime settimane è soprattutto la possibilità che Israele modifichi lo status quo nei luoghi sacri di Gerusalemme. Da qui, sostiene la diplomatica, nasce questa nuova ondata di scontri, ”imputabile all’intensificarsi delle incursioni e degli attacchi alla Moschea di Al Aqsa da parte delle forze di occupazione israeliane” che hanno permesso ”ai coloni di spadroneggiare nel luogo sacro nel tentativo di cambiare lo storico status quo”. La richiesta dell’Anp è chiara, commenta Alkaila. ”Abu Mazen ha chiesto la protezione internazionale non soltanto per la Spianata delle Moschee ma anche per tutti i Territori palestinesi occupati dagli israeliani”. L’iniziativa francese di una forza multinazionale nel luogo sacro (respinta però dagli israeliani), dunque, è benvenuta, ”fa parte della nostra richiesta”. In questa situazione, ha aggiunto Alkaila, ”chiediamo alla comunità internazionale di intervenire per mettere fine allo spargimento di sangue e alla brutalità delle forze di occupazione e dei coloni e affinché vengano attuate le leggi e convenzioni internazionali”. Per salvare le prospettive di pace, conclude, ”la comunità internazionale deve presentare un processo negoziale multilaterale che abbia scadenze precise”.
Intanto cresce nei Territori Palestinesi Occupati l’insofferenza dei giovani non solo nei confronti degli israeliani ma anche delle autorità palestinesi. La generazione nata dopo gli Accordi di Oslo del 1993, che in parte studia o ha studiato nelle due università palestinesi di Birzeit (Ramallah) e Al-Quds (Gerusalemme), non sembra riconoscersi più di tanto nella politica dell’Autorità nazionale palestinese guidata dal presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas). “Le università palestinesi sono sempre state molto politicizzate – dice all’ANSA Amanda Manasra, coordinatrice del Ppp (partito comunista palestinese) all’università Al-Quds – ma questa volta i partiti non c’entrano. La rabbia e la frustrazione non sono solo rivolte contro l’occupazione israeliana, ma anche verso la leadership palestinese del presidente Abbas”. Alla Al-Quds studiavano ad esempio anche Mohammed Halabi e Bilal Ghanem, responsabili della morte di almeno 4 israeliani e successivamente uccisi delle forze di occupazione. Per Manasra, 22 anni, di Betlemme, i ragazzi della sua generazione “sentono di dover partecipare alle proteste non perché glielo ordina un partito, ma perché non vedono altre vie d’uscita”. “La maggior parte – aggiunge – non ha una strategia politica o un’ideologia, non vengono dall’attivismo e non sono preparati nemmeno per partecipare alle proteste”. A suo giudizio, gli attacchi delle ultime settimane sono la dimostrazione “del disastroso livello della condizione mentale dei palestinesi creato da decenni di occupazione”. “Alcuni di loro – sottolinea riferendosi ai responsabili degli attacchi contro poliziotti e militari – sono talmente disperati che compiono queste azioni anche se sono consapevoli che saranno uccisi”. Per Walid, 21 anni, che studia economia all’università di Birzeit, e si definisce indipendente anche se con simpatie per Fatah (il partito di Abu Mazen), “la leadership palestinese non cerca di sostenere la protesta in maniera concreta e incanalare la rabbia in maniera costruttiva, ma sfrutta il dissenso per tornare al tavolo dei negoziati con Israele”. Originario di Jenin, Walid spiega che per la sua generazione “mettere fine all’occupazione israeliana non è più un imperativo dettato dal nazionalismo, ma dalla necessità di essere liberi come cittadini globali e di vedere i propri diritti umani rispettati”. 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *