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Kandahar, talebani all’attacco delle basi aeree

La propaganda della forza – L’aeroporto di Kandahar, nell’omonima provincia, è una delle otto basi militari (le altre sono Kabul, Bagram, Camp Marmal, Herat, Mazar-e-Sharif, Jalalabad, Khost) nelle quali l’esercito statunitense mantiene i suoi 13.000 soldati, più o meno mercenari. Questa base martedì notte è stata al centro d’un nuovo attacco in grande stile della guerriglia talebana che ha fatto settanta vittime fra agenti, militari e civili afghani, perdendo nell’assalto nove uomini. Ha poi preso diversi ostaggi, tuttora trattenuti in alcuni edifici. I Taliban, camuffati con uniformi dell’esercito locale, hanno anche dato fuoco ad abitazioni degli ufficiali. Secondo un comunicato governativo ripreso da Al-Jazeera le forze armate afghane, nel cercare di riprendere il controllo dell’aeroporto, si stanno muovendo con cautela per non porre a repentaglio la vita dei catturati. L’assalto sembra essere un nuovo messaggio alla leadership interna che, col presidente Ghani, partecipa alla conferenza regionale denominata “Cuore dell’Asia” in corso a Islamabad. Un incontro che discute della possibilità di rilanciare un dialogo di pacificazione coi talebani. Ovviamente con chi ci sta. I colloqui, sponsorizzati da Nawaz Sharif s’erano arenati a luglio, dopo l’ufficializzazione della notizia sulla morte del mullah Omar, tenuta segreta dal 2013 per non incrinare i precari equilibri di “famiglia.

Famiglia rissosa – I timori che la galassia talebana, già da un anno soggetta a turbolenza per la scomparsa di altri leader (Haqqani senior era il più noto), potesse implodere è diventata realtà e alla dissidenza dei Tehreek-i-Taliban si sono aggiunti altri frazionamenti. Dovuti alla designazione del nuovo capo nella persona del mullah Mansour proveniente dalla tribù Alizai Pashtun; cui s’è opposto l’ex recluso di Guantanamo Abdul Qayyum Zakir, anche lui dell’etnìa Alizai Pashtun, coadiuvato da Mansour Dadullah della tribù Kakar e dal mullah Baz Mohammed, della tribù Noorzai. Quest’ultime notizie provengono da una fonte aggiornata come Ahmed Rashid, il giornalista pakistano che studia da oltre un ventennio i gruppi talebani. Alla conflittualità varia espressa da più d’una corrente dei turbanti s’è aggiunto da circa un anno il disegno dell’Isis che cerca alleati e adepti in terra afghana. In realtà le terre interessate sono alcune province afghane del nord, aree del Turkmenistan e  il confine nord-occidentale pakistano, che andrebbero a creare la cosiddetta provincia del Khorasan alla cui guida i messi dell’Isis hanno posto un comandante talebano dissidente: Saeed Khan. Dopo la morte del suo vice, mullah Khadim, freddato da un drone statunitense  nell’Helmand meridionale, si è assistito a due fenomeni: un reclutamento individuale di miliziani, incentivato a suon di dollari, e il cambio di bandiera dei guerriglieri uzbeki che si battevano a fianco dei talebani.

Più dollari e più attacchi – Sembra che questi miliziani abbiano accantonato questioni ideologiche e privilegiato vantaggi personali scaturiti da contrabbando, riciclaggio di denaro e dall’imperituro commercio di droga. Una delle vie più battute per lo smercio dei derivati dell’oppio verso l’Europa sono le zone di Peshawar e Jalalabad, in realtà lo erano anche prima della comparsa dei talebani. Ma nel fenomeno disgregativo che sino all’estate sembrava favorire dissidenti e Isis, le modalità di recupero, frutto della campagna militare voluta da Mansour, sembrano ribaltare equilibri ogni qual volta la guerriglia talib assesta colpi alla struttura militare afghana sostenuta dagli Usa. L’esempio dell’assedio di Kunduz, presa a fine settembre e tenuta per due settimane, mentre l’esercito afghano arrancava nel simulare una controffensiva e i bombardieri statunitensi massacravano, fra gli altri, il personale sanitario dell’ospedale di Medici senza frontiere, provocava l’effetto di compattamento di tanta dissidenza. Seguendo questa scia l’attacco a quelle vantate roccheforti che sono le basi aeree funge da ulteriore propellente per un rilancio della linea talebana tradizionale. 

Resistenza pluritrentennale – Fra l’altro il fronte targato Isis inizia a vivere alcune contraddizioni. Diverse tribù pashtun vantano la primogenitura della lotta contro l’invasione straniera, avendo affiancato i mujaheddin negli anni Ottanta, durante la lotta antisovietica. Loro hanno giurato fedeltà al mullah Omar in qualità anche di ‘comandante di fede’, perciò non possono riconoscere Al Baghdadi come capo e califfo. Inoltre i talebani non sono jihadisti globali, non hanno mai affermato di voler creare un Califfato, sebbene mirino a una nazione islamica posta sotto la Shari’a. Secondo Rashid il campo dell’egemonia è aperto e non volgerà facilmente a favore dell’Isis. Certo, l’effetto destabilizzante sulla nazione è altissimo. La popolazione ha continuamente sotto gli occhi la totale inconsistenza dell’esercito nazionale, utile alla favola di “normalizzazione” raccontata da Ghani e tutt’al più a chi veste l’uniforme per far mangiare i propri cari. Ma sempre meno giovani sono disposti a far da bersaglio per uno Stato inconsistente, afflitto da soverchierie e corruzione. La fuga a occidente è nuovamente cresciuta. Gran parte delle trentaquattro province sono polveriere, non risultano affatto controllate dall’Afghan National Army né dai marines della “Resolute support”. Nuovi assedi sono dietro l’angolo. 

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