Nelle ultime ore l’aviazione militare di Mosca ha ulteriormente intensificato i bombardamenti sugli obiettivi dello Stato Islamico e di altre formazioni jihadiste acquartierate a Raqqa ed in altre località siriane. Missili sono stati lanciati per la prima volta anche da un sottomarino – il Rostov, uno dei più moderni della flotta russa – posizionato davanti alle coste libanesi, dopo che alcune settimane fa erano state le navi militari dispiegate nel Mar Nero a bersagliare i fondamentalisti sunniti.
«i cacciabombardieri Tupolev Tu-22M3 dispiegati nella base di Mozdok, un gruppo aeronautico nella base aerea di Hmeimim e un sottomarino dispiegato nel Mediterraneo hanno lanciato un massiccio attacco aereo e missilistico su siti dell’Isis e di altre organizzazioni estremistiche» in Siria, ha informato il Ministero della Difesa di Mosca che ha così attuato i nuovi ordini del presidente Vladimir Putin. «Gli obiettivi erano due dei punti principali dei terroristi nella provincia siriana di Raqqa. Siamo sicuri di poter dire che gli attacchi hanno portato un danno abbastanza significativo a un magazzino di munizioni» e a infrastrutture petrolifere», ha detto il ministro russo della Difesa, Shoigu.
Secondo quanto riferito dalle fonte ministeriali russe confermate dal portavoce del Pentagono Peter Cook, la Russia avrebbe informato preventivamente dell’attacco gli Stati Uniti, gesto apprezzato da Washington.
Al gesto distensivo, però, il Cremlino ha affiancato anche un segnale più che esplicito inviato direttamente alle potenze teoricamente alleate nella lotta all’Isis. Tale va considerato anche l’utilizzo del sommergibile Rostov, più una dimostrazione di potenza muscolare che una necessaria mossa di tipo militare.
Discutendo ieri sera delle operazioni militari in Siria con il ministro della Difesa russo, Shoigu, Putin ha infatti affermato che i missili Kalibr e i razzi da crociera A-101 utilizzati nelle ultime ore per martellare i jihadisti dal Mediterraneo, «possono essere armati sia con testate convenzionali sia con testate speciali, cioè quelle nucleari. Certamente nulla di questo è necessario nella lotta ai terroristi, e spero che non sarà mai necessario». Perché citare l’opzione nucleare se poi lo stesso presidente russo nega che questa sia necessaria per combattere i fondamentalisti sunniti? Ovviamente per avvisare le potenze concorrenti nello scenario mediorientale che se la competizione e l’escalation dovessero superare il livello critico Mosca non esiterebbe a considerare anche questa opportunità.
La dichiarazione giunge dopo che il segretario di Stato statunitense, John Kerry, ha annunciato che sarà a Mosca la settimana prossima per incontri con i vertici russi, con l’obiettivo di accelerare i negoziati sulla Siria. Kerry ha detto che a Mosca incontrerà il presidente Vladimir Putin e il collega russo Sergey Lavrov.
L’annuncio arriva sulla scia di nuove tensioni tra Washington e Mosca provocate dalla decisione statunitense di ospitare un nuovo incontro del cosiddetto Gruppo di Supporto Internazionale Siriano a New York il prossimo 18 dicembre, appuntamento che Mosca potrebbe boicottare se dall’incontro in corso in Arabia saudita delle diverse fazioni della “opposizione siriana” manovrate dalle petromonarchie dovesse uscire un piano ostile alla Russia, all’Iran, all’Iraq, ad Hezbollah e naturalmente al governo di Damasco. L’incontro dei gruppi fedeli a Riad si tiene intanto a porte chiuse in un grande albergo della capitale saudita, circondato da un ingente spiegamento di forze di sicurezza.
Intanto, per quanto riguarda la situazione sul campo, occorre registrare la ritirata totale dei cosiddetti ‘ribelli’ dall’ultimo quartiere sotto il loro controllo nella città siriana di Homs, come previsto dall’accordo raggiunto con il governo nei giorni scorsi. L’accordo, concluso il 1 dicembre scorso sotto la supervisione delle Nazioni Unite, prevede che i circa 2.000 combattenti delle formazioni jihadiste e i loro familiari lascino il quartiere di Waer grazie ad un salvacondotto concesso loro dall’esercito di Damasco e dalle altre formazioni lealiste che hanno inflitto dure perdite ai ribelli grazie anche alla copertura aerea dell’aviazione russa.
Lasciata la città di Homs, gli autobus con a bordo i ribelli e i loro familiari si dirigeranno verso la zona di Qalaat al-Madiq, nella provincia centrale di Hama, e poi verso la provincia nord-occidentale di Idlib, dove saranno scortati dai miliziani jihadisti dell’Esercito della Conquista, alleanza che comprende, insieme ad alcuni settori dell’Esercito Siriano Libero (i cosiddetti ‘ribelli moderati’) anche il Fronte al Nusra, formazione affiliata ad al Qaeda. Una volta che i ribelli avranno abbandonato il quartiere di quella che è stata a lungo considerata la ‘capitale della rivoluzione’, in base agli accordi dovrebbe essere la polizia siriana, e non l’esercito, a rientrare a Waer.
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