A meno di una settimana dal voto, resta massima l’incertezza sull’esito di quelle che per la Spagna sono le più importanti elezioni politiche dal 1982: tanto che la stima dell’affluenza parla di un possibile 80%, un dato che di fatto rende poco affidabili dei sondaggi peraltro assai contraddittori.
L’ultima rilevazione in ordine di tempo, quella di Metroscopia pubblicata dal quotidiano El Pais (di centrosinistra), rimette i socialisti del Psoe in seconda posizione davanti a Podemos, annullando così il sorpasso a sinistra certificato nei giorni scorsi da el Confidencial (un media decisamente reazionario): il tutto alla vigilia dell’unico dibattito testa a testa fra il leader socialista Pedro Sanchez e il premier conservatore Mariano Rajoy, al momento sicuro della maggioranza relativa e impegnato in una campagna all’insegna dell’immobilismo più assoluto pur di non rischiare di perdere voti.
Metroscopia accredita il Partido Popular del 25,3% delle preferenze contro il 21% dei socialisti: dato il complicato sistema di attribuzione dei seggi è difficile quantificare il numero dei deputati ma media il Pp ne otterrebbe 109 e il Psoe 90, entrambi ben lontani dalla maggioranza assoluta di 176 seggi. In leggero calo invece la nuova destra liberista e pro austerità di Ciudadanos (C’s), che con il 18,2% si vedrebbe superato di poco da Podemos (19,1%) pur ottenendo alla fine un identico numero di deputati, una sessantina ciascuno.
Si conferma, al di là dell’attendibilità dei vari sondaggi, la fine del bipolarismo assoluto che ha dominato il panorama politico dagli anni Ottanta: i maggiori partiti dell’establishment rimarrebbero comunque i più votati (intorno al 50% del totale) ma né il PP né il Psoe potrebbero formare dei governi monocolore come è sempre accaduto in passato, contando a volte sul sostegno di alcuni dei partiti regionalisti e autonomisti della Catalogna, delle Canarie, del Paese Basco o della Galizia. L’attenzione degli analisti è su quali alleanze potrebbero dar luogo ad un esecutivo di coalizione sufficientemente stabile, in vista di una legislatura in cui i problemi (austerity e crisi catalana in primis) non mancheranno di certo.
Stando alle previsioni, il Partito Popolare subirebbe sì un crollo rispetto alle scorse elezioni, ma avrebbe tutte le carte in regola per poter continuare a governare altri cinque anni, contando su un’alleanza con i liberali di destra di Ciudadanos e su piccole formazioni locali di centrodestra, come ad esempio i regionalisti di Coaliciòn Canaria. Finora il partito fondato da Albert Rivera nove anni fa in Catalogna come contraltare nazionalista spagnolo all’aumento dell’auge dell’egemonia politica degli indipendentisti di Barcellona e diventato recentemente la ruota di scorta del regime uscito dall’autoriforma del franchismo, ha attaccato duramente il governo Rajoy in tema di scarsa efficienza e corruzione. Ma un’alleanza tra la nuova e la vecchia destra – i programmi in tema di economia sono molto simili, come è simile la verve centralista e autoritaria in campo nazionale e sociale – sembra lo sbocco più probabile dell’ascesa della creatura di Rivera se vorrà accedere al governo.
Teoricamente i socialisti e Podemos, che pescano in contesti sociali ed elettorali contigui se non sovrapposti, potrebbero formare una coalizione di governo, ma tutti i sondaggi danno le due formazioni assai lontane dai numeri minimi necessari a governare. Qualche analista prefigura un assai improbabile patto tra C’s e socialisti e Podemos in nome dell’espulsione dei popolari dal governo, ma allo stato sembra uno scenario fantapolitico che farebbe imbestialire una parte consistente sia degli elettori anticasta e progressisti di Podemos, sia i settori più reazionari dell’elettorato di Ciudadanos. Partito il cui programma liberista non disdegna le privatizzazioni, difende le banche (uno dei principali avversari del movimento dei cosiddetti indignados) e si schiera contro le tasse patrimoniali, mentre in campo sociale è contrario alla legge sull’aborto, alla sanità agli immigrati che non hanno il permesso di soggiorno e come il Pp non ha alcuna intenzione di riaprire il dibattito sulle responsabilità criminali del franchismo e dei suoi gerarchi.
Comunque gli ultimi giorni di campagna elettorale, visto l’alto numero di indecisi e il maggior numero di forze politiche a disposizione degli elettori, saranno molto importanti per comporre il quadro che uscirà dalle urne domenica prossima. Che probabilmente vedrà la vittoria della vecchia destra ex franchista di Mariano Rajoy, seppur ampiamente ridimensionata dalle politiche lacrime e sangue e dai continui scandali per corruzione, e della ‘nuova’ destra di Albert Rivera, in grado in pochi mesi di passare dal 3% ottenuto alle elezioni europee a una percentuale che oscilla tra il 15 e il 20% attribuita a Ciudadanos dai vari sondaggi.
Un’altra “quasi certezza” è la marginalizzazione, nel nuovo parlamento di Madrid, della Sinistra Unita esclusa dai dibattiti televisivi e relegata in un vero e proprio recinto. La formazione di Pablo Iglesias, data per vincente fino a qualche mese fa e che ora lotta per ottenere il terzo posto invece che il quarto, ha progressivamente moderato i propri slogan, i propri linguaggi e le proprie proposte. Ma ciò non ha impedito a Podemos di sottrarre alla Sinistra Unita una parte consistente del suo elettorato. A fare il resto, diminuendo pesantemente la rappresentanza parlamentare di Izquierda Unida, ci penserà un sistema elettorale che premia i grandi partiti radicati in tutto il territorio o quelli piccoli concentrati in aree circoscritte. Si prefigura anche un pessimo risultato per la sinistra indipendentista basca, in preda ad una crisi di progetto e di contenuti iniziata con la fine della lotta armata da parte dell’ETA. Buone invece le previsioni per la sinistra nazionalista catalana moderata di Erc, che dovrebbe avvantaggiarsi anche della decisione da parte della CUP, la sinistra indipendentista radicale, di non partecipare alla competizione per un parlamento la cui sovranità non riconosce.
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