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Per evitare la Brexit l’Unione Euopea rischia lo sfascio

Con le dita incrociate, nei palazzi del potere nell’Unione Europea si segue il vertice di due giorni – oggi e domani – che dovrà decidere se le richieste della Gran Bretagna possono essere accolte oppure no. Oppure cosa.

Il problema è che non si tratta di dettagli, ma di questioni che rimettono in pesante discussione i trattati esistenti; ovvero l’unico collante “legislativo” che consente alla Ue di comportarsi come si è comportata con Grecia, Portogallo, Italia, ecc, in tutte le diatribe sull’austerity e non solo.

Riassumendo, Londra chiede un riconoscimento pieno di sovranità, di non essere costretta ad accettare altri passi verso una maggiore integrazione, il riconoscimento che la Ue è un’area “multimonetaria” (dunque che l’euro non sarà mai la sua moneta, né che potrà diventare una discriminante), che il welfare inglese non è più garantito per i lavoratori comunitari (ossia italiani, greci, spagnoli, ecc) che operano in territorio britannico.

Un pacchetto sufficiente a disgregare gran parte dei vincoli che sono stati costruiti fin qui e che molto sono costati soprattutto ai paesi mediterranei. Non basta: all’ultimo minuto David Cameron, il premier inglese conservatore, ha aggiunto la pretesa di poter applicare una legislazione differenziata alle banche e agli organismi finanziari della City (proprio mentre nella Ue ci si scontra sulle regole dei salvataggi bancari) e un dettaglio legale: vuole la garanzia che l’eventuale accordo di domani sia “pienamente valido” prima che si svolga il referendum inglese sulla permanenza o meno nella Ue, a giugno.

Qui il dettaglio si rivela invece una bomba. Per renderlo operativo, infatti, bisognerebbe riscrivere molti dei trattati oggi vigenti. Dunque impegnare tutta l’Unione in una corsa contro il tempo all’unico fine di tenere in sella il giovane tory in crisi di consensi su questo tema (la maggioranza di “no”, nei sondaggi attuali, sembra decisamente schiacciante).

Ma non è tanto il tempo, che conta quanto il merito. Riscrivere un qualsiasi trattato significa mettere in azione una serie di rivendicazioni nazionali, perché è evidente che qualcuno ci ha rimesso moto e altri ci hanno guadagnato. E questo vale per ogni trattato, inestricabilmente connesso con una serie di altri. L’apertura del vaso di Pandora, in confronto, presentava meno problemi.

Sul vertice, oltretutto, non si potrà esercitare – almeno non nelle stesse dimensioni – la leadership tedesca affidata ad Angela Merkel. La cancelliera è a sua volta in crisi, dipinta come “isolata” all’interno del suo stesso partito, la Cdu-Csu, in cui vanno crescendo sia gli euroscettici (pesa la concorrenza di Alternative für Deutschland, nuovo partito “centrista” ma xenofobo, razzista e antieuropeo), che gli anti-immigrati, sull’onda dei fatti di Colonia.

Una leader debole all’interno e contestata apertamente nell’Unione. Soprattutto da quegli ingrati dei leader dell’est europeo, che devono tutto il loro sviluppo economico (sia pur parziale) al fatto di essere stati aggregati alla filiera industriale tedesca. Ma anche gli storici alleati della Merkel (la Francia “socialista”, che non vuole un immigrato in più), l’Italia dei premier non eletti (Renzi cerca voti futuri facendo l’eurocritico un tanto al chilo), l’Austria che ha appena reintrodotto controlli alle frontiere, ecc, non offrno più lo stesso sostegno di qualche mese fa.

Una revisione dei trattati, in queste condizioni, è assolutamente impensabile. L’Unione Europea era insomma irriformabile nel suo momento di massima forza, quando stracciava la dignità della Grecia e del suo pieghevole premier; a maggior ragione lo è davanti al concreto pericolo di smarrire, in poche battute, la bussola unitaria.

 

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