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Cumhuriyet, nuove prove: “La Turchia collabora con l’Isis”

“Hanno gestito il confine con un emiro dell’Isis”. Con questo titolo il quotidiano turco di opposizione laica Cumhuriyet ha lanciato oggi il suo ultimo scoop sulle collaborazioni ad alti livelli tra regime turco e Stato Islamico in quanto a gestione del confine tra Turchia e Siria. Circa tre mesi fa il direttore di Cumhuriyet Can Dundar e il caporedattore Erdem Gul finirono in prigione con l’accusa di rivelazione di segreto di stato e ‘tradimento’ perché avevano osato far pubblicare sul loro giornale le foto, i video e le testimonianze che provavano un passaggio di armi dirette ai jihadisti attivi in Siria a bordo di un camion di proprietà dei servizi segreti di Ankara, il Mit, bloccato alla frontiera da ignari agenti di polizia. 
Per Dundar e Gul lo scorso 5 febbraio il tribunale di Istanbul ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla procura su esplicita imbeccata del presidente Erdogan in cui se ne chiede la condanna all’ergastolo con l’accusa di “spionaggio” e “propaganda terroristica”. La prima udienza del processo é fissata per il 25 marzo.
Ma il giornale non ha rinunciato a seguire il filone delle pericolosissime relazioni tra regime islamista turco e Daesh, denunciando stavolta anche un diretto coinvolgimento di membri dell’esercito.
Il nuovo scoop si basa su alcune intercettazioni telefoniche risalenti al novembre 2014 ed emerse durante un’inchiesta della procura di Ankara – poi passata per competenza territoriale a quella di Gaziantep, città vicina alla frontiera con la Siria – in cui alcuni ufficiali dialogano amichevolmente con Mustafa Demir, un jihadista turco considerato il ‘responsabile’ della gestione del confine per conto dello Stato islamico. Dalle conversazioni si evincono contatti frequenti che avrebbero permesso il passaggio di combattenti e anche di materiale esplosivo usato poi in attentati compiuti in Turchia. 
Tra i 27 indagati nell’inchiesta risulta anche Ilhami Bali, considerato la mente del doppio attacco kamikaze che il 10 ottobre del 2015 è costato la vita a 102 manifestanti e attivisti di partiti curdi e di sinistra che stavano partecipando ad una manifestazione indetta ad Ankara dai sindacati e da numerose forze politiche dell’opposizione contro la campagna militare scatenata dal governo contro i movimenti curdi.
Ma è proprio contro i curdi, gli attivisti della sinistra antagonista e i giornalisti troppo ‘impiccioni’ che lo stato turco continua ad esercitare una pesante repressione. L’esercito di Ankara ha annunciato ore di aver ucciso domenica 14 militanti curdi nel corso delle operazioni militari contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Quattro presunti militanti del Pkk sarebbero stati abbattuti nel quartiere di Sur, a Diyarbakir, una buona parte della quale è sotto il coprifuoco di 24 ore su 24 da inizio dicembre e dove i morti si contano a centinaia. Altri dieci presunti militanti del movimento di resistenza curdo sarebbero stati invece uccisi nel distretto di Idil, nella provincia di Sirnak, vicina al confine siriano.
Anche dentro il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo al potere il cerchio magico erdoganiano sta facendo piazza pulita degli esponenti critici nei confronti del governo. Rei di aver criticato in diverse occasioni la linea del loro partito due eminenti esponenti e cofondatori nel 2001 dell’Akp sono stati cancellati dalla lista ufficiale dei padri della forza politica e di fatto espulsi. Si tratta di Abdullah Gul, presidente della Repubblica fino all’agosto del 2014, e di Yasar Yakis, ex deputato ed ex ministro degli Esteri. Gul è anche stato premier del primo esecutivo dell’Akp e ha modificato la norma costituzionale che impediva a Erdogan di ricoprire cariche di governo a causa di una condanna per incitamento all’odio religioso, spianando così la strada alla sua inarrestabile ascesa politica. Negli ultimi mesi però Gul ha preso le distanze dagli ‘eccessi’ delle politiche di Erdogan e Davutoglu. Yakis ha invece criticato la «oltraggiosa interferenza turca» negli affari siriani, oltre alla repressione delle manifestazioni antigovernative. 
Intanto oggi il Primo ministro turco ed esponente del partito islamo-nazionalista Ahmet Davutoglu ha presentato un piano di aiuti pubblici per sostenere il settore turistico che ha subito un netto crollo a causa degli attentati che hanno sconvolto alcune delle più importanti città del paese, in primo luogo Istanbul, e del brusco calo degli arrivi di visitatori russi dopo la rottura tra Ankara e Mosca seguita all’abbattimento di un caccia russo sui cieli siriani da parte di velivoli turchi. Le presenze russe sono diminuite della metà a dicembre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ciò nonostante, Davutoglu si è detto certo che “i russi torneranno presto in Turchia”. Il turismo è un settore chiave dell’economia turca che nel 2015 ha portato nelle casse dello Stato circa 31,5 miliardi di dollari.
Davutoglu ha annunciato che lo Stato turco stanzierà 255 milioni di lire turche (circa 86 milioni di dollari) a favore delle agenzie turistiche e l’implementazione di altre misure atto ad aiutare le imprese a ristrutturare i debiti. 

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