La dichiarazione congiunta sul rafforzamento della partnership strategica tra Turchia e Ucraina – in particolare: sostegno tecnico militare e missilistico ucraino alla Turchia, creazione di una zona di libero scambio, attrazione di capitali turchi nelle privatizzazioni ucraine, collaborazione energetica e questione della Crimea – sottoscritta ad Ankara da Petro Porošenko e Recep Erdoğan lo scorso 9 marzo, viene da lontano. E va oltre il recente scambio di cortesie tra i due presidenti. Se nell’occasione dell’incontro, Erdoğan aveva promesso la concessione a Kiev di 10 milioni di $ in “progetti umanitari”(!), a ridosso della visita c’erano state le manovre congiunte turco-ucraine nel mar di Marmara, con la fregata ucraina “Ghetman Sagajdačnyj” e la nave appoggio “Balta” che erano poi rientrate a Odessa con un carico d’armi valutato a oltre 800mila $.
Queste sono solo alcune delle “perle” più recenti; ma, negli ultimi dodici-quindici mesi, Contropiano ha scritto più volte della collaborazione brigantesca tra Kiev e Ankara. Ne riproponiamo una sintesi.
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La Crimea in mano a Kiev come perno del complotto turco-ucraino
C’è un comune denominatore ideologico, al di sopra di interessi convergenti tra i golpisti di Kiev e gli uomini forti di Ankara. Le mire sono quelle degli interessi di potenza (al servizio di disegni strategici più vasti) nell’area del mar Nero e, più in generale, dell’Europa sudorientale, contro la “minaccia russa”. La comune dottrina è quella delle croci uncinate sventolate nell’indifferenza delle “democrazie” occidentali. Gli strumenti sono i gruppi di terroristi che ricevono o forniscono aiuto, ora in territorio ucraino, ora in quello turco.
Se il presidente turco Erdoğan invoca per sé l’attribuzione di pieni poteri esecutivi, sull’esempio della Germania hitleriana, a Kiev si celebra la data di nascita dell’ideologo dei filonazisti ucraini, Stepan Bandera, capo di quell’UPA-OUN che collaborò con le SS tedesche nelle stragi di soldati sovietici, civili ucraini, polacchi, ebrei e rom durante l’occupazione nazista. E vengono alla luce gli “scambi di favore” tra terroristi Isis, loro protettori turchi e autorità ucraine. Il territorio ucraino fa da retrovia ai terroristi islamici; i neonazisti ucraini non fanno mistero dei loro legami con le bande terroristiche caucasiche, attive fonti di reclutamento per le formazioni islamiste; le milizie della Novorossija denunciano la presenza di sabotatori di lingua araba e turca e il medžlis dei tatari di Crimea fedeli a Kiev parla apertamente del sostegno turco alla formazione di battaglioni destinati alla “riconquista della Crimea”. La Crimea sembra dunque rappresentare il punto di convergenza tra Kiev e Ankara. L’ambasciatore straordinario e plenipotenziario ucraino Jurij Ščerbak, ha fatto addirittura ricorso a paragoni storici, per “dimostrare” come, a differenza di Grecia, Italia e Impero ottomano, la Russia non disponga di alcun fondamento per avanzare pretese sulla Crimea! Quella Crimea che nei giorni scorsi ha festeggiato il secondo anniversario della riunione alla Federazione Russa. Ma Kiev non sembra darsi per vinta: Porošenko chiede al Ministero della difesa di sostenere ogni focolaio di resistenza sulla penisola; il Consiglio di difesa continua a studiare il metodo della sua riconquista e il Ministro degli interni Arsen Avakov annuncia la formazione di reparti speciali atti allo scopo. D’altronde, l’ipotesi militare era stata presa in considerazione sin dall’inizio del colpo di stato a Kiev e solo la consapevolezza dell’inadeguatezza delle proprie forze militari, fermò la junta dalla guerra aperta con Mosca per la penisola.
Qualche settimana fa, EurAsia Daily scriveva di come gruppi mobili di sabotatori stiano passando dal blocco economico della Crimea al terrore aperto verso gli abitanti della regione di Kherson, confinante a ovest con la penisola, eletta al ruolo di avamposto dal medžlis dei tatari dopo la fuga dalla Crimea. Avamposto in cui il battaglione musulmano “Noman Čelibidžikhan” (primo Mufti dei musulmani di Crimea, che avversò il potere sovietico) si va rimpinguando per l’afflusso di “gruppi radicali da tutto il mondo” e i lauti sostegni in armi del governo di Ankara. A detta del vice premier della Crimea, Ruslan Bal’bek, nel battaglione ci sarebbero ben pochi tatari e quasi solamente mercenari stranieri, per lo più dell’Isis. Secondo EurAsia Daily, la spina dorsale del battaglione sarebbe composta da islamisti dei “Lupi Grigi” fuggiti dalla Siria, insieme a elementi da altre parti del mondo.
La collaborazione tra Kiev e Ankara era stata ribadita anche dalle dichiarazioni del segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e di difesa ucraino, Aleksandr Turčinov, durante la sua visita in Turchia nel gennaio scorso. E nel dicembre precedente, il portale fondsk.ru, basandosi su dichiarazioni dell’ambasciatore UE in Iraq Jana Khibaskova, scriveva di traffici di petrolio che vedrebbero coinvolti Isis, Turchia, Ucraina, e non solo. Si facevano i nomi dei principali centri del contrabbando (Manbij, Al Bab, Al Qaim) tra Isis e Ankara, affermando che l’Isis controllerebbe l’oleodotto Kirkuk-Ceykan e il porto turco fungerebbe da approdo di petroliere della compagnia Palmali Shipping & Agency JSC, di proprietà del miliardario turco-azerbajžano Mubariz Gurbanoglu. A questo proposito, lo scorso dicembre i premier di Turchia e Azerbajžan, Ahmet Davutoğlu Ilham Aliyev, si erano pronunciati per l’accelerazione della costruzione del gasdotto Tanap (Trans-Anatolian Natural Gas Pipeline), che aggirando il territorio russo, porterà il gas azerbajžano in Europa attraverso la Turchia. Quanto al petrolio, l’Ucraina costituirebbe per Erdogăn il ponte ideale per il trasporto del greggio verso Polonia e Lituania: i due paesi, scrive oko-planet “che più risolutamente sostengono il regime di Porošenko”. Il petrolio arriverebbe al Baltico passando per l’Ucraina: qui, i punti chiave sarebbero Odessa, controllata dal governatore ultrayankee Mikhail Saakašvili e il terminale di Iličevsk, a sud della città; si spiegherebbero così anche le lotte di qualche mese fa per il controllo delle locali infrastrutture portuali. Da rilevare che, a dispetto della profonda crisi economica in cui versa l’Ucraina, rileva oko-planet, il vice Ministro per le infrastrutture Vladimir Šulmejster ha parlato di progetti per la realizzazione di un nuovo porto nell’area della foce del Dnepr-Bug e di un eventuale terminale petrolifero. Da parte sua, il Ministro per l’industria estrattiva e per l’energetica, Vladimir Demčišin ha dichiarato che le imprese commerciali ucraine sono riuscite a sostituire le forniture di prodotti petroliferi dalla Federazione russa con circa 170mila tonnellate al mese di misteriose “fonti alternative”. Di sicuro, nel novembre scorso, Ukrnafta ha venduto all’asta 144mila tonnellate di idrocarburi: “un successo indiscutibile, per un paese in guerra e che estrae una quantità microscopica di petrolio”, scrive oko-planet. E come è stato possibile? “Con la rivendita. Da qui anche il guadagno netto di Ukrnafta nel 2014 di 27,891 miliardi di grivne”.
Inoltre, lo scorso 30 novembre, la direzione della ditta di tubazioni Sarmatia ha dichiarato di attendere il permesso per la realizzazione dell’oleodotto Brody-Płock, allungare cioè l’attuale condotto, lungo 667 km, che unisce Odessa a Brody (nella regione di L’vov) di altri 490 km fino alla polacca Płock. Ancora una volta, spunta la mano di Baku: l’impresa Sarmatia è controllata dall’azienda statale azerbajžana Socar, dalla georgiana GOGC Ldt, dall’ucraina Ukrtransnafta, dalla polacca Przedsiebiorstwo Eksploatacji Rurociagow Naftowych Przyjazn s.a. e dalla lituana AB Klaipedos Nafta.
“Non a caso”, conclude oko-planet, “i colpi dell’aviazione russa sul sistema del trasporto del petrolio sottratto dall’Isis, attraverso Siria e Turchia, hanno così messo in allarme Porošenko e ogni volta che Kiev insorge contro le visite di personalità russe in Crimea, le fa immediatamente eco la Turchia, che si dichiara a favore dell’integrità territoriale dell’Ucraina, inclusa la Crimea. E lo scorso 9 marzo, Porošenko è tornato a esortare il parlamento turco a qualificare come “genocidio” la deportazione nel 1944 dei tatari di Crimea che si erano schierati con gli invasori nazisti.
Questo, per quanto riguarda più direttamente Ankara. Da parte ucraina si punta su due fronti: il leader del battaglione neonazista “Azov”, Andrej Biletskij, ha detto che può “riunire una propria legione straniera e inviarla a combattere per la coalizione occidentale in Siria”, probabilmente rifornita di quelle armi di fabbricazione cinese acquistate da gruppi terroristici kuwaitiani in Ucraina e smerciate in Siria passando per la Turchia. Già nelle prime settimane di presenza russa in Siria, il sito web “Mirotvorets” (“Mediatore di pace”!) iniziava a pubblicare foto, nomi, indirizzi e dati personali dei piloti russi e uno dei suoi ispiratori, l’ultranazionalista Anton Geraščenko, scriveva che, con la pubblicazione dei nomi, l’Ucraina avrebbe aiutato i combattenti islamici e i loro confratelli in Russia a vendicarsi secondo i canoni della Sharia.
Sul fronte “di casa”, invece, alle frontiere con la Crimea, gruppi armati formati per lo più da bande del Medžlis dei tatari di Crimea fuggiti in Ucraina, vanno ogni giorno annunciando operazioni per “la riconquista della penisola”. “Insieme al blocco energetico e a quello marittimo”, aveva avvertito lo scorso dicembre l’oligarca tataro-crimeano Lenur Isljamov, “ce ne sarà un altro, ben più efficace”, sottolinenando di contare sull’aiuto della Turchia e che “i turchi, quando hanno abbattuto l’aereo, che attaccava il loro territorio, stavano già attuando il blocco del Bosforo e dei Dardanelli. Rimane solo lo stretto di Kerč” – per attraversare il quale Mosca sta costruendo un ponte che, facendo perno sull’isoletta di Tuzla, avrà una lunghezza di 19 km – “e noi ce ne stiamo già occupando”. A ridosso dell’abbattimento del cacciabombardiere russo (e dei mancati “incidenti” tra vascelli russi e turchi, pochi giorni dopo, valutati da Mosca come “provocazione, affinché si accrescano sempre più i pericoli e la Nato intervenga a sostenere la Turchia”) era venuto infatti anche il blocco energetico della Crimea, annunciato da due deputati della Rada e leader del Medžlis, Refat Čubarov e Mustafa Džemilev e attuato da Pravyj sektor e gruppi tataro-crimeani dell’Ucraina. A detta di alcuni, l’operazione era stata pianificata ad Ankara, ansiosa di liberare il mercato crimeano per le merci turche, la cui importazione nella penisola sarebbe poi cresciuta di quattro volte. Da notare che Džemilev appare strettamente legato ai servizi segreti turchi ed è stato a suo tempo decorato con l’Ordine della Repubblica, la seconda decorazione turca per livello di importanza.
D’altronde, anche se non legata apertamente ad Ankara, la stretta “unità d’armi” tra neonazismo ucraino e islamismo caucasico risale ben addietro nel tempo. Dopo il sanguinoso attacco islamista a Grozny, nel dicembre 2014, alla Rada ucraina si proponeva di “aprire un secondo fronte contro la Russia, accanto al Donbass”, fornendo appoggio e basi ai terroristi ceceni e daghestani; uno dei capi del battaglione Azov, il deputato Igor Mosijčuk, esortava a stimolare azioni del tipo di quella di Grozny in tutta l’Asia centrale e parlava della convocazione “a Kiev di una conferenza con ceceni, daghestani e altri popoli che soffrono per l’aggressione russa”. Per questo, il leader ceceno Ramzan Kadyrov, mentre denunciava la presenza anche di alcuni suoi connazionali nell’Isis – i primi nuclei di terrorismo islamista poi sfociati nell’Isis hanno avuto il battesimo proprio in Cecenia, foraggiati da chi intendeva dirigerli contro Mosca – rivelava di come l’intelligence cecena fosse a conoscenza dei campi d’addestramento di terroristi wahabiti (con istruttori Nato) in Medio Oriente, prima ancora della nascita ufficiale dello Stato islamico e di come “agenti ceceni e i migliori combattenti della repubblica” si fossero introdotti in quei campi per studiarne le mosse. E’ così che islamisti ceceni wahhabiti, in nome della vendetta contro i russi, combattono nel Donbass spalla a spalla coi neonazisti di Pravyj sektor. “I battaglioni Sceicco Mansur e Džokhar Dudaev”, ha dichiarato un loro comandante “si compongono per lo più di ceceni; ma ci sono anche musulmani di altre regioni dello spazio postsovietico, come uzbeki e balkari. Nel raggruppamento “Crimea” ci sono soprattutto tatari di Crimea”. Ad armarli sarebbero quegli stessi stati che armano gli islamisti in Siria, cioè Qatar, Kuwait, Emirati arabi e Arabia Saudita. Uno degli organizzatori di questi battaglioni, Adam Osmaev, detenuto in Ucraina, secondo quanto riportava l’estate scorsa Medias-Presse-Info era stato scarcerato prima del termine, come se tra tra “Kiev e Isis esista un legame segreto. In tal modo, gli islamici, provvisti di passaporti dell’Ucraina, si sono trovati le porte aperte verso l’occidente”.
E il politologo russo Vladimir Kornilov sottolinea come <alcuni dei terroristi ceceni ammettano apertamente di aver combattuto in Siria dalla parte degli islamici, di appartenere alle bande responsabili delle stragi della Dubrovka (a Mosca, nel 2002) e alla scuola di Beslan (in Ossezia del Nord, nel 2004) e di essere parte della rete islamica internazionale>. Il comandante del battaglione “Dnepr-1”, Jurij Berëza, ha proposto a suo tempo la formazione di gruppi di sabotatori da infiltrare in Russia, dichiarando che la Cecenia dovrà tornare a far parte dell’Ucraina, come prima del 1917, per <rifondare il mondo ucraino> dei tempi in cui i cosacchi erano i pretoriani degli zar.
Una Crimea occupata dai golpisti di Kiev costituirebbe una sicura testa di ponte per le mire di Ankara nella regione.
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