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Brasile: destre al governo. Dilma: resistere al golpe

Dopo il voto del Senato – 55 a 22 – a favore dell’impeachment della presidente, al termine di una seduta durata ben 22 ore, la spallata delle destre e dell’oligarchia brasiliana nei confronti del Partito dei Lavoratori ha visto una rapida escalation. In poche ore Dilma Rousseff è stata rimpiazzata dal suo vice ed ex alleato, Michel Temer, del Partito del Movimento Democratico, che ha proceduto in tempi record a varare un governo alla cui formazione aveva alacremente lavorato nei giorni precedenti e che riporta il paese ai tempi della dittatura.

Il governo ad interim è formato da soli 22 ministri – sacrificati ad esempio il ministero per la Parità di genere e Uguaglianza di razza e per i Diritti umani, oltre a quelli della Gioventù e della Cultura – tutti maschi, nonostante la Costituzione preveda una presenza femminile minima del 30%, e tutti bianchi – nonostante la maggioranza dei brasiliani siano neri o mulatti.

Un esecutivo composto da elementi di punta degli ambienti politici liberisti. Significativa la nomina di Henrique Meirelles, ex governatore della Banca Centrale, alla carica di nuovo ministro delle Finanze (già annunciate varie misure di austerità), e dell’ex governatore dello stato di San Paolo, Josè Serra, uomo di Washington due volte sconfitto nella corsa alle presidenziali, al dicastero degli Esteri. Quest’ultimo ha proposto di privatizzare Petrobras ed ha subito attaccato i paesi dell’Alba che hanno denunciato il cambio della guarda a Brasilia come il risultato di un colpo di stato istituzionale mentre la Bolivia ha richiamato il suo ambasciatore per ‘consultazioni’. Spiccano anche Alexandre de Moraes – protagonista a San Paolo di una dura repressione nei confronti degli studenti e dei movimenti sociali al ministero della Giustizia; il Ministero dell’Agricoltura è stato affidato a Blairo Maggi, tra gli uomini più ricchi del Brasile, ex governatore del Mato Grosso, esponente di estrema destra del Partito Progressista e principale produttore di soia al mondo, tra i principali responsabili della deforestazione in Amazzonia; al ministero della Sanità è andato un altro imprenditore, Ricardo Barros, inquisito per frode e illecito finanziario e fautore di un vasto piano di tagli alla spesa sociale.

“L’urgenza è di ristabilire l’unità e la credibilità del paese” e di “pacificare la Nazione” ha detto Temer aggiungendo che “la prima parola che rivolgo al popolo brasiliano è ‘fiducia’, fiducia nel nostro carattere, nella nostra democrazia, nella ripresa della nostra economia”. Temer presenta il suo esecutivo come un ‘governo di salvezza nazionale’ al di sopra delle parti politiche. Ma in nome della ripresa economica e della riconquista della fiducia dei mercati il presidente ad interim ha già annunciato una riforma fiscale che riduce la spesa pubblica e un attacco al sistema pensionistico, ricevendo le congratulazioni del suo compare di cordata, l’argentino Mauricio Macri.

Ma l’ex alleato di centrodestra del PT – che Rousseff ha definito senza mezzi termini un traditore – deve affrontare due ostacoli non da poco per materializzare le sue ambizioni presidenziali. Intanto la sua impopolarità tra i brasiliani, molti dei quali vorrebbero le sue dimissioni; in secondo luogo, il possibile coinvolgimento nello scandalo ‘Lava Jato’, che coinvolge centinaia di esponenti politici in relazione alla gestione dell’azienda energetica di stato Petrobras. La magistratura ha già aperto varie inchieste nei confronti dei principali esponenti dell’ex opposizione di centrodestra ora al potere, accusati di corruzione, tra i quali il potente senatore Aecio Neves (anch’egli sconfitto nella corsa alle presidenziali) e l’ex presidente della Camera Eduardo Cunha, il principale promotore dell’impeachment ma anch’egli tirato in ballo da uno dei super-testimoni dell’inchiesta che per ora sembra favorire i partiti che rappresentano gli interessi delle oligarchie e di Washington.
Oltretutto ben 7 dei ‘nuovi’ ministri – in realtà parecchi hanno già fatto parte degli esecutivi guidati da Lula da Silva o dalla stessa Rousseff negli anni scorsi – sono indagati o già condannati per corruzione. Un bel record per un esecutivo che pretende di riportare pulizia nella gestione della cosa pubblica.

Dilma chiama alla mobilitazione

Dilma Rousseff – sospesa dal suo incarico per un massimo di 180 giorni, in attesa del voto parlamentare al termine del processo politico intentato nei suoi confronti – non sembra demordere e continua a rivendicare la sua onestà e a chiamare il popolo brasiliano ad una risposta compatta contro quello che da tempo definisce un ‘colpo di stato’.

“Quando un presidente è accusato di un crimine che non ha commesso non è impeachment, è un golpe: lotterò con tutti i mezzi legali di cui dispongo per esercitare il mio mandato fino alla fine” ha detto nella sua ultima dichiarazione dopo la notifica ufficiale della sospensione dall’incarico, accompagnata da quasi 40 mila sostenitori. “Sono stata eletta presidente con 54 milioni di voti, ed è in questa veste che voglio parlarvi in questo momento decisivo per la democrazia brasiliana e per tutto il nostro Paese: ciò che è in gioco non è il mio mandato, ma il rispetto delle urne e della Costituzione, della volontà sovrana del popolo brasiliano; le conquiste degli ultimi 13 anni, ma anche il futuro del nostro Paese”, ha continuato Dilma rivendicando i progressi economici e sociali dell’ultimo decennio. “Voglio denunciare un impeachment fraudolento: da quando sono stata eletta una parte dell’opposizione volle ricontare i voti e successivamente ha iniziato a cospirare per l’impeachment, creando un ambiente di sabotaggio continuo al mio governo, un ambiente propizio a un golpe. Gli atti da me posti in essere sono stati legali e legittimi, analoghi a quelli dei Presidenti che mi hanno preceduto: non era un reato ai loro tempi, non lo è neanche adesso”, ha ribadito Dilma. “Il rischio è quello di avere ora un governo illegittimo, che nasce da un golpe, da un impeachment fraudolento, da una specie di elezione indiretto, che potrà cedere alla tentazione di reprimere chi gli è contrario, che sarà esso stesso una causa della crisi in cui versa il Paese”, ha avvertito l’esponente del PT. “Ai brasiliani faccio un appello: mantenetevi mobilitati, uniti e in pace: la lotta per la democrazia non ha una scadenza, la lotta contro il golpe è lunga, è una battaglia che può essere vinta e la vinceremo” ha ribadito.

«Ho sofferto il dolore della tortura, il dolore della malattia e ora sento il dolore dell’ingiustizia – ha detto ancora la presidente – Ciò che più mi fa male è l’ingiustizia… Ma non mi arrendo. Guardo indietro a tutto quel che è stato fatto e guardo avanti a quel che c’è ancora da fare. Ho lottato tutta la vita per la democrazia, ho imparato ad aver fiducia nella capacità di lotta del nostro popolo. Confesso che non avrei mai immaginato che sarebbe stato necessario tornare alla lotta contro la dittatura in questo paese. Negli ultimi mesi, il nostro popolo è sceso in piazza per difendere i suoi diritti e per questo ho la certezza che la popolazione sarà dire «no» al golpe».
Intanto, dopo il voltafaccia dei suoi alleati di governo e sulla spinta delle rivendicazioni dei movimenti popolari e di sinistra scesi in piazza negli ultimi mesi contro il golpe e contro il ritorno al potere degli ambienti che sostennero la dittatura nei decenni passati, il Partito brasiliano dei Lavoratori sembra ora orientato a imprimere alla propria politica una sterzata riformista e di sinistra. La direzione del PT ha annunciato un cambiamento nella politica delle alleanze: più che alle forze politiche con le quali i laburisti hanno a lungo governato cedendo spesso agli interessi della finanza, dell’agrobusiness e degli apparati economici dominanti (che comunque non si sono accontentati ed alla fine hanno sostenuto il golpe) il Pt ha promesso una apertura a sinistra verso quei partiti, organizzazioni e movimenti popolari che da tempo chiedono riforme strutturali, distribuzione della ricchezza e riduzione delle diseguaglianze sociali.

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1 Commento


  • Michele D’Onofrio

    a quanto pare, se è vero che la linea politica del PT vira a sinistra, non tutto il male viene per nuocere

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