Ultimi d’accordo, ma non in tutto. La recente classifica della spesa per le armi ci ha piazzati al terzo posto in Africa Occidentale. Boko Haram, djiadisti, commercianti e banchieri rendono necessaria un’adeguazione alle mutate condizioni di insicurezza. Senza contare che francesi e americani hanno i loro droni e militari stazionati in zone strategiche del paese. Ad esempio dove passano e transitano i migranti, ben noti spacciatori di futuro a buon mercato. Senza contare i cercatori d’oro e gli scavatori di uranio in sciopero da tempo. Nel nostro piccolo siamo globalizzati. Basta contare i morti nella zona di Diffa, nell’estremo sud del paese, che si contano a centinaia. I profughi a migliaia e i silenzi senza numero delle onde del mare.
Li hanno trovati troppo tardi accanto alla macchina. Una banale foratura e l’inagibilità della ruota di scorta sono bastati. Otto cercatori d’oro hanno perso la vita e li hanno trovati nella sabbia, accanto al veicolo. Morti di sete e di caldo non lontano da Arlit, la capitale dell’uranio nel Niger. Già a fine marzo altri cinque cercatori d’oro avevano perso la vita nell’esplosione di dinamite clandestina. I campi di sfruttamento di questo metallo pregiato si sono estesi fin dal 2014 e il deserto si è trasformato in un altro deserto. Il tesoro si trova sotto terra, nascosto da sassi e sabbia da scavare. Conteso da migliaia di minatori improvvisati dalla sorte e dalla follia. Tardi li hanno trovati, dall’alto, grazie ad un aereo partito alla loro ricerca.
La sicurezza, anche nel Sahel, ha un prezzo. Siamo al terzo posto per le spese militari dopo la Nigeria e il Ghana. Naturalmente solo per l’Africa Occidentale di tutti i traffici che si possano immaginare. Di tutti il più importante è quello del futuro. Si ruba, si vende, si esporta e si spaccia in cambio di giovani che poi annegano nel Mediterraneo. Si tratta di una politica mirata e sostenuta da progetti e piani di sottosviluppo orchestrati e finanziati. Aerei presidenziali, viaggi, conferenze di capi di stato, forum economici e umanitari. La fiera delle vanità non si ferma mai e un baraccone illuminato a festa riceve la visita degli ultimi esperti nel marketing. La povertà, in genere, si vende bene, proprio come i poveri del Sahel.
L’ultimo posto della classifica sullo sviluppo umano, invece, non ce lo leva nessuno. Ci siamo attaccati con una certa fierezza e non senza ragione. Che gli ultimi saranno i primi negli aiuti umanitari non è un mistero per nessuno. Abbiamo l’oro e la sabbia che lo nasconde. Possediamo i migranti d’esportazione per ritardarne la partenza e gli accordi di gestione dei flussi. Quanto al rimpatrio per gli indocumentati e gli espulsi altrove è solo questione di tempo. Anche da noi si moltiplicheranno i centri di identificazione , di transito permanente e di ritorno finale al mittente. Peccato però che in Africa occidentale ci sia la libertà di circolazione ormai ratificata da tutti gli stati membri. Una libertà fatta di sabbia che soffia col vento politico.
Il presidente del Niger, lui, si sposta con una fiammante Lexus blindata, a prova di proiettili, bombe e soprattutto di popolo. Almeno lui è nella sicurezza. Ognuno per sé e, naturalmente, Dio per tutti.
Niamey, maggio 016
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