Mentre in Italia si discute scaramanticamente del prossimo referendum costituzionale, con molti intellettuali schierati a difesa della Costituzione del ’48 ma convinti che “personalizzare su Renzi” la campagna per il NO sarebbe un errore, i più attenti analisti internazionali attribuiscono a questa scadenza il valore che le spetta: spartiacque tra una condizione di (faticosa) stabilità del processo di integrazione europeo nelle forme ordoliberiste che questo ha assunto, oppure un deciso passo avanti verso la rottura di questo processo.
Se si difende insomma la Costituzione che JpMorgan considerava già tre anni fa da abbattere perché “socialista”, ovvero troppo orientata a fissare diritti per i lavoratori – e dunque per l’intera cittadinanza non appartenente ai ceti dominanti – si crea un intoppo serio per l’edificazione di un sistema continentale che dà tutto il potere ai mercati finanziari e al capitale multinazionale.
Il voto di ottobre, o di quando Renzi giudicherà più conveniente per lui e i suoi burattinai, ha dunque non solo ovvie e giustissime valenze di assetto istituzionale interno al paese, ma addirittura un peso rilevantissimo in ambito europeo e globale.
Wolfgang Munchau, autorevole editorialista del Financial Times (il giornale economico più importante a livello globale), pur convinto che le riforme renziane siano “ragionevoli” e da approvare, non si fa comunque accecare dalle proprie prefrenze e vede lucidamente le connessioni sistemiche tra il voto britannico, quello italiano di ottobre (preparato da quello registrato nelle amministrative) e la tenuta complessiva di un progetto in crisi.
Sarebbe utile che anche qui si ragionasse a questo livello, spazzando via ogni provincialismo e autolimitazione intellettuale. La realtà è più avanti, e scorbutica, di quanto non si voglia ammettere. Se ne ha paura, ed è comprensibile. Ma sarebbe criminale e suicida continuare a chiudere gli occhi davanti alla dimensione dello scontro che ci aspetta e sperare che la realtà globale rispetti i tempi e le aspettative dei timorosi.
*****
Il voto del Regno Unito per lasciare l’UE non solo romperà i legami tra il Regno Unito e il blocco, e, probabilmente, tra la Scozia e l’Inghilterra – ma ha il potenziale per distruggere la zona euro. In questo momento questo non è il problema in prima linea nella mente delle persone. Ma è potenzialmente quello di maggiore impatto tra tutti quelli possibili. Sono convinto che le conseguenze della Brexit saranno neutrali o moderatamente negative per il Regno Unito, ma devastanti per l’UE.
Il problema principale non è che altri paesi vogliano effettuare referendum per la permanenza nella UE. Il problema è più acuto. Il prossimo referendum che si terrà in Europa si svolge in Italia nel mese di ottobre. Non tratta dell’Unione, ma delle riforme costituzionali di Matteo Renzi. Il primo ministro italiano sta facendo una scommessa che non è meno rischioso di quella fatta da David Cameron.
Egli chiede agli italiani di concordare su una serie di riforme per semplificare il sistema politico del paese. Le proposte sono ragionevoli. Ma gli italiani vedono il referendum come un’opportunità per un voto di medio termine anti-governativo. Mr Renzi ha del resto promesso che si sarebbe dimesso in caso di sconfitta. Se lo fa, sarà stato un errore monumentale di valutazione, della dimensione di quello commesso dal signor Cameron. I sondaggi hanno mostrato un piccolo vantaggio per il “Sì”, ma sono suscettibili di essere altrettanto inaffidabili di quelli del Regno Unito. I miei amici italiani mi dicono che Renzi può anche perdere, nel qual caso dovrebbe o dimettersi immediatamente o convocare elezioni nei primi mesi del 2017.
Le implicazioni della Brexit per l’Italia sono estremamente preoccupanti per tre motivi. In primo luogo, bisogna prendere in considerazione l’impatto economico. L’economia in Italia si trova in una debole ripresa dopo una lunga recessione. Il voto britannico avrà un effetto significativo sulla crescita della zona euro. Ma per l’Italia questo significa un ritorno ad un tasso di crescita al di sotto dell’1 per cento o peggio.
In secondo luogo, guardiamo alle banche italiane, che sono tristemente sottocapitalizzate. Un progetto recente per ricapitalizzare il sistema si è rivelato una delusione. Le uniche opzioni a sinistra (il Pd, ndr) per salvare questo sistema sono riposte in un programma nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità, l’ombrello di salvataggio, Rispetto al quale Renzi sicuramente cercherà di resistere (per le conseguenze molto stringenti che derivano dal richiedere questo ombrello, ndr), o una sospensione per una lunga lista di regole comunitarie in materia di politica di concorrenza e salvataggi bancari.
Terzo, e più importante, l’impatto politico di un referendum perduto sarà disastroso. In entrambi i casi, sia se Renzi mantiene la sua promessa di dimettersi oppure se uscirà zoppicant dalle prossime elezioni. I dettagli tecnici dello scenario che potrebbe poi prevalere sono complessi, ma il partito che ha più probabilità di trarne beneficio è il Movimento Cinque Stelle, populista e anti-establishment. Il suo leader Beppe Grillo, la settimana scorsa, ha ribadito la sua richiesta di un referendum sull’adesione in Italia alla zona euro. Come hanno dimostrano i risultati delle recenti elezioni per i sindaci di Roma e Torino hanno dimostrato, il partito di Grillo non deve essere sottovalutata.
La dinamica politica in Italia non è molto diversa da quella del Regno Unito. L’elettorato è in uno stato d’animo insurrezionale. Il paese non ha avuto praticamente nessuna crescita della produttività dal momento che è entrato nell’euro, nel 1999. La classe politica italiana è stata fino a poco tempo sprezzante circa le possibilità di perdere il referendum, proprio come l’istituzione britannica era fino a venerdì mattina. È ancora sprezzante rispetto alle probabilità di una vittoria dei Cinque Stelle – e lo sarà fino al momento in cui questo avverrà.
A mio avviso, è almeno altrettanto probabile che Renzi alla fine possa uscire vittorioso da questo pasticcio. Il pubblico italiano ha ragione di esigere un cambiamento fondamentale. A differenza del Regno Unito, la disoccupazione è elevata. L’amministrazione di Renzi non è riuscita a interrompere gli scandali per la corruzione e, più importante di tutti, non è riuscita a risolvere i problemi dell’economia del paese.
Un sondaggio Pew Research Center sull’atteggiamentio nei confronti dell’integrazione europea, negli Stati membri più grandi, suggerisce che gli italiani e i greci vedono più negativamente la governance economica dell’UE. Non ne sono sorpreso.
Né mi sorprende che la gente stia cominciando a dare la colpa all’euro per i problemi economici. Un’uscita italiana dalla moneta unica innescherebbe il collasso totale della zona euro entro un periodo molto breve.
Potrebbe probabilmente innescare lo shock economico più violento nella storia, tale da faf impallidire il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e la crisi del 1929 di Wall Street. Ma la mia sensazione è che coloro che sosterrebbero una uscita italiana (dalla Ue, ndr) potrebbero anche apprezzare l’abbattimento di tutta la costruzione.
Per evitare che una tale calamità, i leader europei dovrebbero prendere in considerazione seriamente di fare quello che non sono riusciti a fare dal 2008: risolvere le molteplici crisi dell’Unione anziché navigare a vista. E questo dovrà prevedere un piano per l’unione politica dei paesi della zona euro.
La Gran Bretagna non è la causa di tutto questo. La zona euro e i suoi leader spaventosamente deboli sono da biasimare. Ma la Brexit potrebbe essere il detonatore.
dal Financial Times – traduzione (frettolosa) redazionale
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa